Alla Gazzetta: «Per talento, il più grande è stato Maradona. Con Messi torno bambino. Ronaldo è bravo, ma mi stufa. Oggi nel calcio ci si passa troppo la palla»
La Gazzetta dello Sport intervista Gianfranco Zigoni, diventato, grazie anche al suo spirito ribelle, uno dei calciatori
simbolo degli anni ’70. Soprannominato Zigo-gol o Dio Zigo, ha giocato con Juventus, Genoa, Roma, Verona, Brescia chiudendo nell’Opitergina e nel Piavon nel 1987. In Nazionale ha giocato solo una volta, il 25 giugno 1967, nella vittoriosa trasferta 1-0 sulla Romania.
Gli chiedono cosa pensa del calcio di oggi:
«Ho visto l’Under 21 e ho avuto l’esaurimento. Si passavano la palla l’uno con l’altro, poi la davano al portiere e ricominciavano con i passaggini. Pensavo a Sivori e Maradona che andavano dritti in porta. Ho accompagnato mio nipote Tommaso, otto anni, alla scuola calcio. L’allenatore urlava: “Passala, passala”. Non ho resistito: “Hai finito con questo passa passa? Devi gridargli dribbla dribbla”. Mi ha risposto che in un certo senso avevo ragione».
Racconta l’esperienza con Heriberto Herrera, alla Juve.
«Mi mandò in depressione. Non riuscivo più a mangiare, vomitavo tutto, persi dei chili. Un amico medico mi prescrisse una cura di punture e mi spedì in montagna. Al mattino Heriberto ti metteva sulla bilancia e se il peso non era giusto… In allenamento, se sgarravi, ti dava dei pugni. Una volta ha dato una spallata a De Paoli che è franato addosso a me e sul ghiaccio si è rotto un dito. Perché? Ci eravamo scambiati una battuta. Una sera invita me, Del Sole Cinesinho a mangiare e a bere a casa sua, c’è il ben di Dio e ne approfittiamo. Una trappola. Il giorno dopo alla bilancia dice: “Pesate troppo, vi do la multa”. Alla Juve mi sentivo un prigioniero. Odiavo Heriberto, poi ho capito che aveva ragione, perché era onesto e meritocratico, e oggi mi dico che è stato un onore giocare nella Juve».
Sui soldi:
«Non me ne fregava niente, ma non c’erano le differenze di oggi. Al Genoa, quando ero già in Nazionale, prendevo 300mila lire al mese, quando mio padre aveva uno stipendio da 70mila. Poi arrivai a 10-15 milioni di ingaggio, cifre alte, non mostruose come ora. Ogni uomo fa due pasti al giorno. Il ricco mangia l’aragosta, io preferisco le sardine».
Chi è stato il più grande di sempre?
«Ho giocato contro Pelé, Eusebio, Puskas, Di Stefano e Cruijff. Una volta ho detto a Renica, il libero del Napoli degli scudetti, che per me il più forte è stato Pelé e si è offeso a morte. Forse aveva ragione, per talento puro il più grande è stato Maradona. Oggi mi piace Messi perché riceve la palla dribbla tutti e va in porta. Messi mi fa tornare bambino. Ronaldo è bravo, ma mi stufa, e se penso alla vita che fa, mi viene l’ansia per lui».
La cosa più pazzesca che ha visto?
«Ho visto Sivori in partita fermarsi con la palla al piede e sistemarsi i capelli con un pettine».
Il suo più grande errore?
«La pistola, quando sparavo ai lampioni di Veronello perché mi annoiavo. Non so perché lo facessi. Assurdo».