Paolo Tramezzani racconta al Foglio Sportivo l’esperienza sulla panchina dell’Al-Faisaly: «Al suono delle campane ci si doveva fermare tutti»
Sul Foglio Sportivo la testimonianza di Paolo Tramezzani, “allenatore globe-trotter” che a inizio luglio è approdato in Arabia, sulla panchina dell’Al-Faisaly, dopo aver allenato l’Hajduk Spalato. L’esperienza è già finita.
La squadra saudita è quella della città di Harmah, poco meno di 9mila abitanti, sull’altopiano del Najd, a 200 km da Ryad.
«Vivevo ad Harmah, moglie e figlia invece a Ryad, a distanza di due ore di autostrada. Harmah è un villaggio che pare galleggiare in un tempo lontano. Ryad è una città avveniristica, proiettata nel futuro, un’oasi di acciaio e tecnologia. Vivere divisi era un problema, anche questo ha pesato sulla scelta di tornare in Europa. Ad Harmah giravo sempre con pantaloni e maniche lunghe, nonostante i quaranta e passa gradi, un inferno. Era per rispettare le loro abitudini, così come mia moglie teneva sempre il velo».
Marito e moglie non potevano nemmeno abbracciarsi all’aeroporto. Da quelle parti, si usa così. A tavola niente vino o birra («Il vino lo trovavi al mercato nero, ma anche no, grazie: è un rischio altissimo»).
Racconta gli allenamenti:
«Ad Harmah passavo al campo tutte le mie giornate: avevo un traduttore, organizzavo gli allenamenti in base alle preghiere. Tutta la vita degli arabi è scandita dalla preghiera. I miei giocatori pregavano sette volte al giorno. Alle quattro e mezza e alle sei meno un quarto sentivamo le campane delle moschee e allora ci si doveva fermare tutti. Non è facile se vuoi fare calcio in un certo modo».
Alla fine non ha resistito.
«Ho risolto il contratto in un minuto, senza problemi, hanno capito le mie esigenze e le difficoltà di una vita normale. Mi hanno ringraziato, ho fatto lo stesso io per la bella opportunità che mi avevano offerto».