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Spalletti sta insegnando al Napoli che la vittoria non arriva da sola, va cercata e conquistata

Ha battuto la Juve su episodi ma quegli episodi sono stati cercati. Qualche mese fa, Napoli-Juve sarebbe stata uno psicodramma

Spalletti sta insegnando al Napoli che la vittoria non arriva da sola, va cercata e conquistata

“Nessuno ti consegna a casa quel che vuoi: se non reagisci, le cose continuano come erano iniziate”. Spalletti ha vinto Napoli-Juventus facendo il contrario di quello che abbiamo dovuto vedere tante volte nella passata stagione. Ha vinto la terza partita che non più di qualche mese fa avrebbe assunto i crismi dello psicodramma. E se tre indizi fanno una prova, il suo Napoli sembra una squadra finalmente in grado di ribaltare quelle situazioni sfavorevoli che per gli azzurri hanno assunto tante volte (non solo nella storia più recente) le sembianze di montagne insormontabili: lo schiaffone e la conseguente espulsione di Osimhen, il rigore sbagliato di Insigne, le incertezze del giovane Meret, lo svarione (ingiustificabile per un calciatore dell’esperienza e dello status dell’ellenico) di Kostas Manolas.

Spalletti ha battuto Allegri cercando l’episodio. Senza aspettarlo inerme nella convinzione che tanto, visto che si è più forti o più in salute dell’avversario, prima o poi arriva da solo. Una convinzione balorda, forse codarda, che ha giocato lo scorso anno un ruolo fondamentale nel tenere i partenopei dentro una stramba comfort zone, eppure fuori dalla Champions League.

E allora è vero che Szczesny non prende bene le misure e non blocca il tiraggiro, ma è vero pure che quell’occasione non è che il frutto della pressione altissima che il Napoli, sin dall’ingresso decisivo di Ounas, è riuscito ad organizzare nel secondo tempo senza mai esporsi al contropiede. D’altronde è dal recupero palla altissimo di Fabian, prima ancora che dal tiro di Insigne, che nasce il gol di Politano.

Ed è indubbiamente vero, ancora, che l’intervento di Kean che mette Koulibaly nella condizione di segnare il gol vittoria è goffo, ma è vero pure che quell’intervento è arrivato al tredicesimo calcio d’angolo a favore (13 a 1, recita il tabellino), conquistato dai partenopei con l’ennesima imbucata alle spalle dei terzini bianconeri.

Mario Rui più alto, Politano qualche metro dietro, Di Lorenzo al fianco di Manolas e Koulibaly a formare una difesa a tre: cambiando atteggiamento tattico, Spalletti ha sistematicamente costretto Bonucci e Chiellini a concedere il tiro dalla bandierina sui filtranti che i calciatori del Napoli indirizzavano verso chi riempiva l’area di rigore. Al tredicesimo calcio d’angolo, la zampata vincente.

Nessuno te lo consegna a casa, l’episodio. Ma se lo cerchi spesso arriva. È successo col Venezia, è successo col Genoa, è successo pure sabato contro la Juventus.

È successo perché con Spalletti in panchina ci si specchia poco. Perché lamentarsi è da sfigati, e quando qualcosa non va (e nel primo tempo diverse cose non erano andate) si mette mano e si cambia.

Il Napoli è parso, per tutta la partita, più forte della Juventus. Anche se sul piano del gioco c’è tanto da migliorare, e il “pelato” lo ammette senza ipocrisie. E tuttavia l’impressione è che qualcosa sia già cambiato.

È mentalità.

Il mister di Certaldo la sfoggia pure in merito a un “siamo fortissimi” che s’è fatto scappare proprio Manolas coi giornalisti di Dazn: “siamo quello che si fa, non quello che si dice. Anch’io ho bellissime intuizioni, poi bisogna mettersi lì ed eseguirle. Anch’io voglio vincere la Champions League, ma bisogna che prima ci vada, per ora non ci gioco”. Tac.

Da anni insiste la convinzione che il Napoli sia una squadra forte. E anche chi scrive è fortemente convinto di queste potenzialità. Purché si parli, per l’appunto, di potenzialità. Perché il Napoli sarà pure potenzialmente forte, ma son due anni che fallisce l’obiettivo minimo stagionale e non si qualifica alla Champions. E sono due anni che esce con le ossa rotte dalle coppe europee. Non basta dirsi (o sentirsi dire) di essere forti, occorre dimostrarlo sul campo. E se il Napoli riuscisse a farlo potrebbe, in un campionato senza padroni, dire davvero la sua per il massimo risultato. Pure perché il livello dei competitor non sembra irresistibile. Basti pensare che il buon Anguissa, dopo due allenamenti con la squadra, s’è concesso il lusso di giganteggiare in un big match col sol merito di andare a ritmi sconosciuti alla nostra Serie A.

Sarà quel che sarà, insomma, ma una cosa queste tre giornate l’han già detta: si può pensare che il Napoli sia davvero una Mercedes da corsa e si può invece ritenere che non sia più d’una buona utilitaria, ma il nuovo pilota della scuderia è tutt’altra pasta rispetto al suo predecessore. È così evidente che è quasi imbarazzante ribadirlo. Tutt’altra pasta sul piano squisitamente sportivo, tutt’altra pasta sul piano comunicativo.

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