Va in semifinale come Pietrangeli nel 60. Sa resistere quando i colpi non entrano. Mantiene la concentrazione e fa la storia nonostante non sia osannato come Sinner e Musetti
L’Italia resta a Londra anche nel tennis. Almeno fino a venerdì. Matteo Berrettini conquista uno storico traguardo: le semifinali a Wimbledon. Prima di lui, c’era riuscito solo un certo Nicola Pietrangeli nel 1960. Per Berrettini è la seconda semifinale in uno Slam: la prima due anni fa agli Us Open, perse contro Nadal. L’italiano ha appena vinto il torneo del Queen’s, sempre sull’erba. È il tennista italiano più forte ma anche quello mediaticamente più sottovalutato rispetto al trattamento ricevuto per mesi da Sinner e Musetti.
Berrettini ha battuto il canadese Auger Aliassime in quattro set. Partita in cui il tennista romano non ha giocato il suo miglior tennis. Anzi. Ha sbagliato tanto. A un certo punto – sensazione stranissima per Berrettini – è parso quasi il classico tennista italiano roso dall’emozione. Quasi, perché Matteo non dà mai in escandescenze. Non spreca energie. È sempre sul pezzo, molto educato, per nulla borioso. E alla fine è stato premiato.
È partito bene, ha vinto quasi in scioltezza il primo set. Poi un passaggio a vuoto nel secondo, sotto per 3-1. A quel punto, però, ha recuperato e sul 4-3 ha avuto tre palle per il 5-3. La partita, invece, è girata. Il ventenne canadese ha smesso di compiere errori gratuiti, è entrato nel match, ha allungato gli scambi e ne ha vinti sempre di più. Mentre Matteo ha imboccato il proprio vicolo dei tormenti, ha sbagliato colpi per lui semplici. E si è aggrappato con tutte le sue forze al servizio. Ha tenuto game su game nel terzo, in attesa di un colpo di grazia che non è mai arrivato. Anzi. È stato lui, a strappare il servizio all’avversario e a vincere il terzo set.
Partenza a razzo nel quarto, subito break. E 63 finale. Vittoria al primo matchpoint.