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Calcio e razzismo, senza pubblico i calciatori africani giocano meglio

E’ di tre italiani il primo e unico studio scientifico sul tema. Vi proponiamo in anteprima una sintesi scritta da loro

Calcio e razzismo, senza pubblico i calciatori africani giocano meglio
Siviglia (Spagna) 27/06/2021 - Euro 2020 / Belgio-Portogallo / foto Uefa/Image Sport nella foto: Romelu Lukaku

Nelle nostre società gli eventi sportivi sono spesso manifestazioni di emozioni e frustrazioni collettive. Nel calcio, il supporto degli spettatori è parte integrante del “bel gioco”, con i tifosi di una squadra che cercano di intimidire gli avversari e spingere i propri beniamini verso la vittoria. Ciò è ulteriormente accentuato dal forte legame che esiste tra calcio e identità nazionale (Depetris-Chauvin et al., 2020). Tuttavia, quando si instaura una mentalità di “noi” contro “loro”, il supporto per la propria squadra si trasforma spesso in un linguaggio di disprezzo e insulto contro il rivale, che può rapidamente trasformarsi in comportamenti discriminatori e razzisti.

Il problema del razzismo nel calcio è ben noto, come sottolineato da un recente rapporto delle Nazioni Unite (Sonntag e Ranc, 2015). Le principali organizzazioni calcistiche come l’UEFA hanno lanciato campagne contro il razzismo e, negli ultimi anni, un certo numero di paesi, tra cui Regno Unito e Italia, hanno sviluppato leggi e istituzioni ad hoc per contrastare il razzismo nel calcio.

Il problema, tuttavia, persiste in gran parte immutato e in molti paesi si verificano regolarmente episodi di molestie razziali da parte di tifosi contro giocatori (o tra giocatori). In Italia, ad esempio, non pochi episodi di razzismo sono stati registrati all’interno degli stadi di calcio negli ultimi anni, molto spesso coinvolgendo anche giocatori (siano essi soggetto o oggetto degli insulti) appartenenti a squadre di Serie A. La matrice di questi insulti è molto spesso razziale, legata alle origini etnica dei giocatori. Il problema non sembra placarsi se, proprio qualche settimana fa, i giocatori della nazionale inglese di calcio sono stati oggetto di pesanti ululati mentre erano inginocchiati in dimostrazione di solidarietà con la campagna ‘black lives matter’.

Mentre è ovvio che combattere il razzismo nel calcio è un imperativo morale, si sa poco dell’impatto delle molestie razziali sulle prestazioni degli atleti presi di mira. Si può ipotizzare, ad esempio, che l’intimidazione abbassi la qualità della prestazione degli atleti e sia quindi dannosa per lo sport. Studiare questo meccanismo servirebbe quindi lo scopo più ampio di far luce sull’impatto del razzismo sulla produttività degli agenti economici.

La pandemia di COVID-19 ha generato un esperimento naturale per testare questa ipotesi, analizzata in un recente studio dal titolo “When the Stadium Goes Silent: How Crowds Affect the Performance of Discriminated Groups“. All’inizio di marzo 2020, il principale campionato di calcio italiano (Serie A) è stato interrotto nel tentativo di prevenire la diffusione del virus ed è ripreso a fine giugno con partite giocate senza tifosi allo stadio. Poiché in Italia le intimidazioni razziste dei tifosi contro i giocatori sono frequenti e ampiamente documentate, questo esperimento naturale consente di verificare se le minoranze più comunemente soggette ad abusi subiscono un cambiamento differenziale nelle prestazioni quando lo stadio tace. L’Italia è particolarmente adatta a questo studio grazie alla disponibilità di dati dettagliati sulle prestazioni dei singoli giocatori per ogni singola partita basati su un algoritmo ampiamente utilizzato.

L’analisi conclude che i giocatori provenienti dall’Africa, quelli più comunemente presi di mira da abusi razzisti durante le partite, mostrano un significativo miglioramento delle prestazioni quando i tifosi non sono più allo stadio (Figura 1). L’analisi tiene conto di un’ampia gamma di fattori, comprese le caratteristiche del giocatore e le condizioni metereologiche con cui si è giocata la partita. La questione ha anche attratto l’attenzione di altri studiosi. Nuove analisi preliminari uscite dopo il nostro working paper, confermano i risultati ottenuti (The Economist). Il nostro, però, resta ad oggi l’unico studio scientifico reso pubblico sul tema.

Il secondo risultato dell’analisi è che le prestazioni migliorano in modo più sostanziale tra i giocatori africani le cui squadre sono state oggetto di abusi razzisti prima del lockdown. Il risultato si ottiene sommando all’analisi i dati sugli episodi di condotta razzista che sono stati ufficialmente registrati dalle autorità italiane nella prima parte della stagione. Ciò corrobora l’ipotesi che il razzismo giochi un ruolo importante. Una serie di analisi di robustezza esclude ipotesi concorrenti, compresi i cosiddetti “choke effects” causati da grandi folle indipendentemente dal razzismo, mancanza di esperienza, e differenze nelle condizioni atletiche dei giocatori che potrebbero aver generato un vantaggio per alcuni dopo una prolungata interruzione del campionato.

Figura 1: Differenza nelle prestazioni dei giocatori prima e dopo il lockdown, per gruppo

Fonte: www.fantacalcio.it (calcoli degli autori)

Note: la figura riporta la differenza media insieme agli intervalli di confidenza del 95% nelle prestazioni dei giocatori prima e dopo il lockdown per gruppo. La differenza per i giocatori di altre regioni non incluse nel grafico, che insieme rappresentano meno del 2% di tutti i giocatori, non viene mostrata (e non è statisticamente significativa).

I risultati si inseriscono in un quadro più ampio che si estende oltre il mondo dello sport e dimostra gli effetti nefasti del razzismo sulla produttività. L’analisi indica che quando un lavoro si svolge in un ambiente in cui si manifestano apertamente comportamenti discriminatori, gli individui che appartengono a gruppi storicamente discriminati ottengono risultati peggiori dei loro colleghi. Più in generale, l’analisi si inserisce all’interno di una letteratura in continua crescita che documenta il ruolo della discriminazione razziale nel guidare le disparità nel mercato del lavoro (ad esempio, Lang e Spitzer, 2020; Aizer et al., 2020; Bayer e Charles, 2018). Inoltre, poiché la ricerca mostra che i giocatori discriminati fanno meglio in assenza di tifosi mentre nessun altro gruppo fa peggio, l’evidenza suggerisce che gli abusi razzisti portano a una diminuzione complessiva della produttività e dell’efficienza.

Occorre anche sottolineare che i risultati sono particolarmente eclatanti perché riguardano atleti d’élite, i migliori nella loro professione, che godono tipicamente di guadagni elevati, oltre che di uno status sociale invidiabile. Sarebbero necessarie ulteriori indagini per testare l’impatto del razzismo sulle prestazioni degli atleti nelle leghe di livello inferiore, e soprattutto tra i giovani, dove si può immaginare che gli impatti della discriminazione siano ancora più significativi e dannosi.

Infine, i risultati portano alla conclusione che il razzismo può causare danni economici all’industria del calcio nel suo insieme. Il calcio, come altri sport, prospera quando fan da tutto il mondo cercano di emulare giocatori straordinari che offrono prestazioni oltre il “normale”. Quando una quota significativa di giocatori non riesce ad esprimere tutto il proprio potenziale, il “bel gioco” diventa meno bello.

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