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Mihajlovic: «Da piccolo sognavo un camion di banane, perché mia madre non poteva permettersele»

A Tuttosport: «Avevo molta fame, per emergere mi sono sacrificato tanto. Il Papa? Sono andato da lui con mia moglie e mia suocera. Ha detto ‘Ti dovrebbero fare santo subito!’» 

Mihajlovic: «Da piccolo sognavo un camion di banane, perché mia madre non poteva permettersele»

Tuttosport intervista l’allenatore del Bologna, Sinisa Mihajlovic. Un mese fa ha incontrato il Papa. La definisce un’esperienza indimenticabile.

«Ho avuto una grandissima impressione perché è un uomo saggio, simpatico e anche con la battuta pronta. Sono andato con mia moglie e mia suocera e quando le ho presentate mi ha detto, ‘Ti dovrebbero fare santo subito visto che ti sei portato anche la suocera!’».

Un incontro di tre ore che a lui è sembrato volare.

Parla di sé, di come la malattia lo ha cambiato.

«Io ho tanti vizi. Diciamo che la qualità migliore è che non mollo mai. Non mi do per vinto, sono sempre positivo e penso positivo. E nei momenti negativi cerco sempre di trovare il lato buono e con quello cerco di andare sino in fondo. Difetti ne ho tanti anche se con gli anni li ho un po’ migliorati. Uno che ho sempre avuto è stato quello di non essere paziente. Con la malattia invece ho trovato la pazienza. Quando mi sono ammalato il mio obiettivo era innanzitutto, ovviamente, restare vivo, ma poi uscire dalla malattia come un uomo migliore. Ora sono meno impulsivo, più riflessivo e più paziente».

Sinisa parla anche dei vizi e delle virtù dell’Italia, suo paese di adozione.

«C’è poco equilibrio, troppa esaltazione o depressione, in tutti i campi, non solo nel mio lavoro. Non c’è una via di mezzo. Vediamo per esempio il lockdown, non c’è stato un atteggiamento responsabile. Con il rosso giustamente tutti in casa, poi, il primo giorno in cui si riapre tutti in massa fuori. E poi durante la chiusura quanta gente si è scoperta amante della corsa, li vedi da lontano anche solo per come corrono o sono vestiti che non c’entrano niente con lo jogging. Il problema è che in Italia tutti si ingegnano per aggirare la regola appena è uscita. Come virtù direi che la gente è aperta, con tante qualità e talenti. Per me è il Paese più bello del mondo, ha tutto».

Dice che per lui la cosa più importante è dire sempre la verità.

«Pretendo lealtà e rispetto, ma in questo modo io sono il primo che devo darli. Vale anche nel mio lavoro. Lo vedete anche dopo le partite delle mie squadre. Se hanno meritato di vincere lo sottolineo, ma con la stessa intensità rimarco che magari abbiamo vinto senza meritare. Anche coi calciatori dico sempre ciò che penso. Magari subito a loro piace poco ma alla lunga apprezzano il fatto di avere a che fare con uno che non ti dice una cosa davanti alla faccia e poi l’opposto appena gira l’angolo. La verità è alla base di tutto».

Sinisa parla dei suoi inizi da calciatore. È stato il suo sogno fin da piccolo

«Però avevo una cosa speciale: molta fame. L’unico modo per uscire da quella condizione di povertà e sconfiggere la fame era riuscire davvero a imporsi. Così mi sono sacrificato tanto».

Anche adesso, alle sue origini pensa ogni giorno.

«Tanta gente arriva e poi scorda le sue radici. Io ogni giorno ripenso a cosa ero da piccolo. Per questo ogni giorno cerco di dare il massimo».

E racconta la povertà della sua famiglia.

«Mia mamma solo una volta ogni tanto riusciva a comprare le banane. Anzi, la banana, che dovevo dividere con mio fratello. Adoro le banane, mi piacciono tantissimo, ma non potevo mangiarle quasi mai. Una volta dissi a mia mamma, ‘Sai, un giorno da grande quando diventerò ricco mi comprerò un camion di banane e me le mangerò tutte da solo!’. Questo era il mio desiderio più grande. Questo ero io a 7 o 8 anni. Ora un ragazzino non ha certo un desiderio di avere un camion di banane. I miei figli le fanno diventare nere. Manco le guardano».

 

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