Forse l’ansia di farsi apprezzare dal grande capo (o dal padrone, come si diceva un tempo). L’omelia giornalistica per Max
Juventus' Italian coach Massimiliano Allegri reacts during the Italian Serie A football match between Milan and Juventus at San Siro Stadium, in Milan on October 22, 2023. (Photo by Marco BERTORELLO / AFP)
Il giornale più feroce con Allegri (forse il solo) è la Repubblica di Elkann
“Battiam battiam le mani, arriva il direttor. Battiam battiam le mani all’uomo di valor”. Così cantava il Quartetto Cetra. La canzone datata ci è tornata in mente leggendo la Repubblica di stamattina sulla vicenda Allegri. Repubblica – si sa – è il quotidiano di John Elkann. Non è il giornale di famiglia (La Stampa) che sì ha condannato Allegri ma lo ha fatto con sobrietà. Repubblica ha evidentemente l’esigenza di mostrarsi in prima fila, col fiocco ben sistemato e i capelli in ordine.
Tre gli articoli che Repubblica ha dedicato al caso Allegri. Tutti con lo stesso taglio.
Comincia l’editoriale di Intorcia che scrive fantozzianamente di secondo tragico Allegri.
Scene da un matrimonio. C’erano due strade per chiudere questa relazione durata dieci anni in tutto, contando anche i due di separazione: un’ultima vittoria o un altro zero alla voce titoli. Allegri ne ha trovata una terza: vincere la coppa e perdere la faccia, sciupando la sua immagine in modo peggiore di quanto avrebbe fatto una sconfitta contro la celebrata Atalanta.
L’ultimo Allegri è un protagonista usurato, incapace di stare al passo dell’evoluzione del calcio, intrappolato nella logica bellica dell’uno contro tutti, in grado di contare in una sola sera uno stuolo di nemici che uno come Mourinho ci avrebbe messo un anno intero solo per pensarli. E nella stessa occasione in cui ha stabilito un altro record, arricchendo una bacheca personale che molti suoi colleghi potranno comunque solo invidiare, è riuscito a lasciare un ricordo pessimo, a oscurare la festa attesa da più di mille giorni, mettendo la sua resa dei conti personale davanti a tutto, anche alla gioia collettiva. È come se il club e l’allenatore, due pianeti eternamente allineati nella logica del pragmatismo, avessero scoperto d’improvviso di non poter essere più diversi. Non solo non si amano più, ma neanche si sopportano. Fino a poco tempo fa, sembrava non ci fosse un tecnico più intimamente e filosoficamente juventino di Allegri.
Con una chiosa interessante sulla fine della panchistar: da Allegri a Mourinho, a Conte che non trova squadra.
La rabbia della Juve nei confronti di Allegri
Poi c’è l’articolo di cronaca a firma Emanuele Gamba che dà conto della rabbia del club nei confronti di Max:
La sfilza di scene madri con cui Massimiliano Allegri ha trasformato una festa che gli juventini aspettavano da tre anni in un nevrastenico show personale costerà all’allenatore, con ogni probabilità, il licenziamento in tronco (in panchina a Bologna andrebbe Montero).
La società è furibonda con Allegri (imbarazzo è il termine più lieve che è stato pronunciato) e per le sue sceneggiate mai viste su un campo di calcio.
Negli ultimi mesi sono spesso volati gli stracci e con Giuntoli il rapporto, cominciato nel rispetto professionale, è precipitato con il tempo, quando Allegri ha cominciato a sentire puzza di bruciato attorno alla sua panchina e si è sentito poco tutelato e ancora meno rispettato. Tra i due le comunicazioni si sono azzerate. Naturalmente in società la vedono diversamente e anzi imputano all’allenatore un pessimo lavoro tecnico su una squadra che da fine gennaio ha cominciato a rantolare, trovando solamente qualche colpo d’ala in Coppa Italia: prima era scadente il gioco, poi i risultati si sono allineati. Con Giuntoli i rapporti si sono fatti sempre più tempestosi e si narra anche di un ultimo litigio domenica, dopo l’orribile pareggio con la Salernitana. Dettagli ormai irrilevanti, a questo punto. Infine il ritrattone a firma Maurizio Crosetti che invero contiene anche umanità. Si presta a più piani di lettura. Apparentemente feroce. Poi, a leggere meglio, in controluce, forse c’è anche altro.
Il buio di Allegri è la sua solitudine: non sempre parte l’embolo per questo, ma sentirsi soli e nudi aiuta.
Una volta gli compravano Higuain, poi arrivò Alcaraz. E tutto il tempo passato a sentirsi dire vecchio: pure nostro nonno si sarebbe incazzato nero. Addio dunque alla schiuma dell’onda, alla leggerezza di spirito toscano. Le ragioni del sangue reclamano il tributo, e il babbo di Max era scaricatore di porto. A che punto è la notte?, dev’essersi chiesto il figlio vincendo una Coppa che sarebbe stato meglio perdere. Tutta la rabbia, a quel punto, è riemersa dal fondo, insieme alla sete di vendetta, ai macigni di sassolini nelle scarpe, e la sclerata è stata una somma algebrica del peggio (che però fa sangue in un mondo di plastica). In un’ora e mezza, le memorie del sottosuolo di Max hanno trasfigurato un uomo, completando una mutazione anche fisica, quegli spigoli in viso, quel cranio quasi come un teschio, ormai, quegli occhi da spiritato. Con la Coppa già in mano, Allegri è diventato una creatura di Tim Burton tra lo spaventoso e il grottesco.
A Roma ha vinto quel che poteva e ha perso tutto il resto. Forse non allenerà più a certi livelli. Meglio sarebbe stato farsi umiliare dall’Atalanta che da sé stesso. Però, ragazzi, quanta vita vera nell’abisso.
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