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Intrighi in una Reggio Calabria bella e decaduta: “Il giudice meschino”, la miniserie passata sotto silenzio

Produzione Rai con Luca Zingaretti, Luisa Ranieri e Gioele Dix, tratta dal libro omonimo di Mimmo Cangemi. Regia di Carlo Carlei

Intrighi in una Reggio Calabria bella e decaduta: “Il giudice meschino”, la miniserie passata sotto silenzio

È passata un po’ sotto silenzio la miniserie “Il giudice meschino che la Rai ha riproposto il 21 marzo – in una versione unica ma ridotta; ora su Raipaly – dopo che il 3 e 4 di marzo 2014 aveva trasmesso le due puntate integrali. Ebbene la fiction è tratta dal libro (2009, Einaudi) omonimo dello scrittore e ingegnere calabrese Mimmo Cangemi. Lo stesso Cangemi con anche Giancarlo De Cataldo – suo deus ex machina editoriale – ne firma la sceneggiatura con altri. La regia è affidata a Carlo Carlei che per questo genere di taglio è una garanzia: si pensi tra gli altri ai “Bastardi di Pizzofalcone”.

Ebbene siamo a Reggio Calabria – la nostra Los Angeles – che ci appare bella ed un po’ decaduta, ma dove il giudice Alberto Lenzi (Luca Zingaretti) è un procuratore aggiunto disincantato che ha contrasti con il suo capo Fiesole (Andrea Tidona, il padre di Fazio in Montalbano) e discussioni con l’etico collega Giorgio Maremmi (Gioele Dix) che invece ci crede ancora. Divorziato, Lenzi ha un figlio Enrico (Lorenzo D’Agata) e una tresca con il maresciallo dei Carabinieri Marina Rossi (Luisa Ranieri).

La bella vita reggina che comprende anche l’altro collega Lucio (Gaetano Bruno) termina con l’uccisione del collega Maremmi. Lenzi allora si scuote e cerca di riguadagnare la stima dei colleghi e dell’amante nascosta che cerca legittimazione per il loro rapporto. Lenzi scoprirà il marcio che c’è in Procura, nelle forze dell’Ordine, nei servizi ed in ogni altra struttura dello Stato che permetteva un pericoloso traffico di rifiuti tossici – interrati in terra calabra – ad un’azienda della Germania che invece aveva una reputazione al riparo da inutili greenwashing. La ndrangheta vecchia di Don Mico Rota (Maurizio Marchetti) e quella in voga e giovanilistica di Pasquale Rezza (Claudio Castrogiovanni) a contendersi la leadership.

Non sarà più ‘meschino’ Lenzi sia nel significato italiano – verso lo Stato – sia nel significato calabro-siculo (poveretto). Il bailamme che si scatenerà farà giustizia di un poco di sabbia di quel deserto della legalità e della società civile che è oggi il nostro sventurato Paese che subisce prono gli affari più grandi di tutti noi, orfano del principio di legalità. Luca Zingaretti nei panni del PM ci conferma che aveva ragione Francesco Carnelutti sull’istinto venatorio della sua funzione: nell’immagine rimane quella prontezza che era di Montalbano, anche se Lenzi è più fashion dell’uomo di Vigata. Ma la corda civile di Cangemi è la stessa di quella di Camilleri (e la stessa di Leonardo Sciascia). Solo se il nostro Paese ritornerà a quella dimensione avremmo qualche possibilità di farcela.

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