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In Italia sfottiamo Allegri, in Germania hanno capito che non c’è futuro senza tecnica calcistica

La rivoluzione delle giovanili tedesche per produrre più “giocatori da strada” è un programma sistemico: dribbling, fantasia, senza asfissianti schemi

In Italia sfottiamo Allegri, in Germania hanno capito che non c’è futuro senza tecnica calcistica
Photo Matteo Ciambelli

C’è chi Allegri non l’ha capito perché “farfuglia”. “Comincia un discorso, non lo finisce, non sa parlare”. I social quando s’ostinano a perdersi la sostanza delle cose, s’atteggiano a grande commissione d’esame di maturità. Dove non insiste il tifo – allo juventino Allegri non condoneranno mai i riferimenti al “dna bianconero” – arriva la pedanteria formale: “eh ma non si capisce…”. Per cui in molti, moltissimi, non hanno potuto apprezzare uno dei tanti inneschi di riflessione che Allegri ha piazzato in tv, su Sky, domenica sera: il calcio, senza tecnica, non va da nessuna parte. Mica un inedito. Allegri ne fa una sua battaglia retorica da sempre, riferendosi alle benedette scuole calcio, ai bambini cui invece della libertà viene insegnata la rigidezza degli schemi. Le “fottute diagonali” al posto del dribbling.

Siamo così provinciali, da queste parti, da ridicolizzare come “naif” concetti semplici: il divertimento, la gioia, la fantasia. L’Italia resta quel paese gonfio nel quale i poeti i santi e i navigatori, quando si parla di calcio, finiscono per arzigogolare sulla tattica, usando spesso neologismi appositi, per lo più a capocchia. Nel frattempo all’estero, dove fanno cose stranissime tipo programmare il futuro, hanno preso la strada opposta: tornare alle origini del gioco, riprodurre il “calciatore da strada”, che si allena coi battimuro a non cadere mai, a puntare sempre l’avversario, a scartare per principio tutti e tutto, compagni, amici, alberi e pali. La rigidissima Germania – rovinata dai cliché – ne ha fatto un manifesto di sopravvivenza. L’ha chiamato “Projekt Zukunft”, Progetto Futuro.

Ne ha parlato lo Spiegel, raccontando la parabola di Armin Younes. Che qui abbiamo ruminato come una qualunque riserva di Insigne e che ora a Francoforte ha ritrovato la nazionale in quota “modello da seguire”. Non è un artificio di esterofilia: è proprio così. Younes è stato identificato in patria come simbolo del giocatore libero, esempio di tecnica e ardimento, di dribbling al servizio del risultato. È la faccia di una precisa scelta politica: se non alleviamo una nuova generazione di street players (scugnizzi, come si traduce in tedesco?) falliamo. Prima di approfondire, ribadiamo: qui siamo ancora alla presa per i fondelli di Allegri. “Eh, ma quello farfuglia…”.

Lo sviluppo del talento è un elemento vitale della strategia a lungo termine di molti club tedeschi in prima battuta (per restare solo alla Germania) e ora anche della Federcalcio e della Lega. Dalla fine di ottobre tutto il calcio giovanile è stato sospeso a causa della pandemia. Nelle “accademie” della Bundesliga, solo dai 17 ai 23 anni hanno potuto continuare a giocare ed allenarsi.

“I ragazzi hanno perso quasi sei mesi del loro sviluppo”, ha detto il direttore delle giovanili del Gladbach, Roland Virkus. “Non possono fare il salto di qualità, non ci sono partite competitive, nessuno può guardare gli allenamenti, non c’è scouting. È un disastro”.

Un’analisi condivisa dalla DFB e da Oliver Bierhoff che dopo il trauma dello 0-6 subito dalla Spagna a novembre, ha messo mano ad un programma strutturato. Il “Projekt Zukunft”, appunto. Che lo Spiegel spiega così: rivoluzionare il modo in cui i bambini giocano a pallone. Allenando l’individualità, il dribbling, il divertimento. E riducendo al minimo la tattica e l’atletica. La Federcalcio, in collaborazione con la Lega, la DFL, ha elaborato delle linee guida per una riforma profonda del sistema, che prevede tra l’altro l’abolizione delle divisioni junior della Bundesliga nella loro forma attuale. Invece di classifiche, promozioni e retrocessioni, l’obiettivo è passare allo sviluppo.

Bierhoff l’ha messo nero su bianco:

“I bambini e gli adolescenti devono ricominciare a godersi il calcio. Più tempo con la palla, più tempo in campo: abbiamo bisogno di più giocatori con una mentalità da strada”.

Di nuovo: non è che Allegri sia un visionario, e così Bierhoff. In Germania hanno capito che le riforme, a loro volta considerate rivoluzionarie, che avevano prodotto la squadra Campione del Mondo nel 2014, hanno finito per creare una generazione di giocatori unidimensionali: tecnica di passaggio perfetta, alti livelli di consapevolezza tattica, ma privi di qualità crude, individuali, imprevedibili che possono fare davvero la differenza. Un calcio senza scintille.

Per cui, ecco il Progetto Futuro. Perché, spiega Martin Jedrusiak-Jung, scienziato dello sport presso l’Università di Colonia “devi iniziare a cambiare le tue strutture quando le cose stanno andando bene, invece di aspettare che le cose smettano di funzionare. Il calcio è dinamico nel suo sviluppo e devi assicurarti di tenere il passo”.

In Francia la filosofia di allenamento è stata adattato al sistema educativo, il che significa che i giovani calciatori hanno 25 ore a settimana in cui si concentrano solo sul pallone”. E così hanno tirato su talenti come Kylian Mbappé, Anthony Martial, N’golo Kanté o Benjamin Pavard, e hanno portato a casa il Mondiale nel 2018. “Ma hanno creato le strutture giuste, al momento giusto”.

Anche in Inghilterra, dove la Premier League è stata a lungo dominata da giocatori non inglesi, probabilmente a scapito della nazionale, la Federcalcio (la FA) ha intuito la necessità del cambiamento e ha introdotto il cosiddetto Elite Player Performance Plan (PPE) nel lontano 2012.  Non esistono più le leghe junior: la Football League lavora(va) con la FA e le federazioni regionali per organizzare circa 6.000 partite all’anno, dagli under 9 agli under 19, con l’obiettivo principale di sviluppare la tecnica, non necessariamente la vittoria.

“In Inghilterra, non hanno investito direttamente sui giocatori, ma nella conoscenza, nelle infrastrutture e soprattutto nella formazione degli allenatori”, ha detto alla ZDF l’allenatore delle giovanili della DFB Meikel Schönwitz. “Viene enfatizzato lo sviluppo individuale, e le strutture e l’ambiente sono stati appositamente modificati per consentire che ciò avvenga”.

Tornando al nostro litigioso condominio, che in Italia i settori giovanili siano diventati un riflesso delle storture delle prime squadre è acclarato. Le statistiche dicono che in Serie A si dribbla pochissimo. Giocatori come Younes sono rari. Saltare l’uomo è sempre una piccola rottura dello schema che ormai abbiamo tutti digerito come inevitabile: l’azione che si ingolfa da un lato, il giro palla che riprende appoggiandosi financo al portiere, per cercare aria dall’altro lato. Quando, spesso, basterebbe un benedetto dribbling. Lo fanno De Paul, Ilicic, Messias, Boga, Ribery, in Italia. Il primo italiano per dribbling riusciti, per quest’anno, è Spinazzola. Insigne è più in basso.

Non è una provocazione di Allegri. E dovrebbe far riflettere che proprio il grande nemico dei “giochisti”, il “risultatista” Allegri finisca per spendersi – da anni ormai – in difesa della tecnica. In realtà è una linea coerente: è la tecnica che aiuta a vincere, niente è più “risultatista”. Ma è un controsenso che ristagna nell’ansia delle varie “cantere” italiane di autopromuoversi attraverso i risultati immediati, dimenticando l’essenza stessa dei vivai: costruire il futuro.

In tedesco si dice “zukunft”. In Italia non si dice affatto.

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