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«Quando soccorsi Jacobsen, non lo riconobbi. Era come se gli fosse scoppiata una granata in faccia»

Sénéchal racconta a L’Equipe i momenti successivi alla terribile caduta: «Perdeva molto sangue, temevo che soffocasse. Ancora oggi lui e la famiglia mi ringraziano»

«Quando soccorsi Jacobsen, non lo riconobbi. Era come se gli fosse scoppiata una granata in faccia»

L’Equipe pubblica un’intervista di due pagine Florian Sénéchal domenica secondo alla Gand-Wevelgem e soprattutto l’uomo che ha soccorso il suo compagno di squadra Fabio Jacobsen dopo la terribile caduta in volata al Giro di Polonia, caduta provocata da una scorrettezza di Groenewegen che il patron della Deceuninck-Quick Step definì un atto criminale. Jacobsen rimase alcuni giorni in terapia intensiva. Sénéchal ricorda quei momenti.

Mi ero spostato a 400 metri dalla linea, eravamo in discesa. Ricordo che da lontano volevo vedere se Fabio aveva vinto, ma ho visto solo barriere che volavano in tutte le direzioni. Mentre attraversavo il traguardo, non avevo capito chi era caduto. Ma quando mi sono fermato, subito dopo, ho visto Fabio sdraiato, da solo, e un fotografo accanto a lui, inerte. Sono andato dritto da lui. In quel momento nessuno si curava di lui, tutti erano intorno al fotografo che aveva perso conoscenza. Lui però stava perdendo sangue, molto sangue. Ho capito subito che stava soffocando, il mio primo riflesso è stato quello di prendere la testa e sollevarla delicatamente per evitare che il sangue salisse al cervello o al suo apparato digerente o ai polmoni. Ha poi riacquistato i sensi, ha sputato sangue.

Era cosciente?

Sì, anche se ha dimenticato tutto di quel giorno. Per me fu terribile non riuscire a riconoscerlo, la sua faccia era completamente distrutta (ebbe 130 punti e in bocca gli rimase un solo dente, ndr), cercavo di fissarlo negli occhi. Ancora non so come ho fatto a reagire in quel modo, non ho alcuna preparazione per il primo soccorso, l’ho fatto quasi istintivamente. Quando poi i soccorsi sono arrivati, mi hanno detto di non muovermi, di tenere la testa alta così, mentre loro si prendevano cura del fotografo che era in coma. Quei minuti sono stati un’eternità. Avevo paura di peggiorare le sue condizioni, non sapevo se si fosse rotto il collo o se avesse le vertebre fratturate. Sono rimasto da solo con Fabio fin quando gli hanno messo un tutore e lo hanno portato in ospedale.

Per me è stato un grande shock. Per diverse notti non sono riuscito a dormire. Sono tornato al bus della squadra con le mani insanguinate mentre tutti stavano guardando in tv il filmato dello sprint e il gomito di Groeneweg che ha causato la caduta. Il team mi ha aiutato molto, ero davvero traumatizzato. Da tutto, da quello che avevo vissuto, dall’aver visto Fabio in quelle condizioni. Il suo volto era irriconoscibile, come se gli fosse scoppiata una granata in faccia. Mi chiedevo come avrebbe potuto fare per mangiare e respirare. Non sapevo se sarebbe sopravvissuto. Sono stato seguito da uno psicologo, mi è servito molto.

Fabio Jakobsen dice che gli hai salvato la vita….

Non so se sia vero. Sono sicuro di aver fatto in modo che non peggiorasse. Se i soccorsi non fossero arrivati, sarebbe morto. Da allora, lui e la sua famiglia mi chiamano spesso, ancora mi ringraziano, penso ormai di essere molto legato a lui e alla sua storia. Eravamo già abbastanza uniti, ma oggi il nostro rapporto è ancora più forte. Non dimenticherò mai quello che ho vissuto quel giorno, al suo fianco. Vicino alla morte»

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