Intervista al Corsera: «Ho perso tutti i miei trofei nei traslochi, anche la maglia rossa di Santiago. Non sono pigro, mi hanno dipinto così»
Il Corriere della Sera intervista Adriano Panatta che giovedì festeggerà i suoi primi 70 anni. Dice di aver perso tutti trofei, anche la maglia rossa di Santiago quando l’Italia vinse la Coppa Davis: Medioevo 1976.
«Ho perso tutto! Non sono un feticista, l’idea del salotto- museo mi fa orrore. Non l’ho mai detto a nessuno, conservo un’unica cosa: la pallina del match point contro Vilas a Roma, una Pirelli. Se la fece regalare mio padre Ascenzio, custode del Tc Parioli. Quando è mancato, riordinando casa, l’ho trovata. Poi è sparita di nuovo, misteriosamente. L’ha ripescata di recente mia figlia Rubina in un cassetto. È sbiadita, dura come un sasso. E con il tempo si è rimpicciolita, come i vecchi».
Non vuole parlare delle sue vittorie, neanche delle sconfitte. Vuole sfatare lo storytelling che lo vuole atleta dotato ma pigro.
Questa è una leggenda da sfatare: io non sono pigro, è che mi hanno dipinto così. Il romano, disincantato, accidioso… Ma de che? Certo non ero Borg, ma non farei mai cambio. Non mi allenavo come Vilas, però nemmeno passavo le giornate a poltrire. La verità è che avevo un gioco molto rischioso, da equilibrista, senza margini, che mi richiedeva di essere sempre al cento per cento. E poi avevo tanti interessi, mica solo il tennis.
Infine, la veronica.
«Ah, la veronica non si insegna: viene naturale. Quella per annullare il match point a Pavel Hutka, seguita da una volée in tuffo, al primo turno di Parigi ’76, è forse la più celebre. Il nome veronica lo inventò il giornalista Rino Tommasi. Forse, per non alimentare la mia falsa fama di seduttore, era meglio chiamarla Filiberto!».