Il tecnico del Leganes a El Pais. È in Liga da 18 anni. «È cambiato tutto. Ora impera la tecnologia, anche tra gli arbitri. Se giochi pensando alla sociologia, farai cagare»
Ad Javier Aguirre “piace annusare” il calcio. Il terreno, i giocatori… Lui la spiega così:
«Guardi Pedro in allenamento e ti chiedi “cosa sta succedendo a Pedro, che ha una settimana così brutta?” Vedi i numeri, e vedi che non può giocare perché ha corso meno di chiunque altro in allenamento, il suo GPS indica che non ha fatto grandi sforzi… Però poi parli con Pedro e ti dice: “mia figlia è stata malata tutta la settimana e non riuscivo a dormire, mister”. I numeri dicono che non puoi giocare. Ma tu Pedro, vuoi giocare? “Mister, mi permetta di giocare per mia figlia, per me è una partita importante”. E Pedro vince la partita con due gol».
La morale è che “questo non te lo dirà mai nessun computer. Questa comunicazione tra due persone è insostituibile”.
Javier Aguirre ha 61 anni, allena il Leganés che affronta il Barcellona, in una situazione di classifica che El Pais definisce “paesaggio adatto solo ai sopravvissuti”. E questo vulcanico allenatore messicano lo è: è fatto di lava, proprio. Ha allenato anche il Giappone e per un periodo è finito in esilio in Medio Oriente, è in Liga da 18 anni e nell’intervista che gli ha fatto El Pais dice che è cambiato tutto.
“I tecnici che erano qui quando sono arrivato io nel 2002 non ci sono più: Caparrós, Lotina, Vicente del Bosque, Luis Aragonés… Non ci sono nemmeno più arbitri. Prima ci salutavamo e scherzavamo molto. Ora li vedo giovani, vigorosi, forti… Non perché non lo fossero prima, ma era un altro stile. Prima erano più cancheros, più da strada, parlavano con l’allenatore. Questi vengono con il regolamento in mano. Vengono con la tecnologia!”.
Aguirre è un profeta del “cuore”, della forza di volontà:
“Quando stai rischiando la vita, la cosa più decisiva è l’intangibile: né tecnica, né tattica, né statistica. E non dimentichiamoci: oggi non c’è pubblico. Il pubblico ti porta in volo. Il pubblico muove i giocatori. Quindi dannazione! Devi trovare la motivazione dentro di te. Questo è ciò che faccio. Scegliere quelli che sono mentalmente migliori. Perché se perdi vai in Segunda divisione, e questo significa che puoi perdere il lavoro. Li alleno a Butarque, per simulare la situazione, ed è un cimitero. Il silenzio è brutale. Far vedere ai giocatori che ci manca il pubblico è un compito titanico. Devi rompere la tua anima”
La pandemia ha innescato anche la molla sociale, i giocatori si sentono un po’ in debito con il resto della società?
“Ricordo da giocatore un tecnico in Messico che ci disse: “È incredibile che non pensate ai lavoratori agricoli. Se perdiamo domenica, la produzione di avocado diminuirà perché i lavoratori andranno a lavorare tristi…” E io gli risposi: “Ma mister, in questo modo nessuno oserà tirare un calcio di rigore, o un calcio d’angolo o fare un passaggio di 40 metri. Se giochiamo pensando alla sociologia, faremo tutti cagare!”.