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Vialli: «Il cancro non è una battaglia, è un viaggio. Oggi sono più grato alla vita»

Intervista al Times: «Ogni volta che ti svegli o vai a dormire con un po’ di mal di pancia o mal di testa o un po’ di febbre, di pensare: “Oh mio Dio, è tornato”»

Vialli: «Il cancro non è una battaglia, è un viaggio. Oggi sono più grato alla vita»

Gianluca Vialli racconta al Times la sua vittoria sul cancro al pancreas che lo ha colpito all’improvviso. Si dice “grato”, non solo a dottori e infermieri che lo hanno aiutato nella malattia, ma perché è vivo. Perché può celebrare il 13esimo compleanno della figlia. Racconta che non pensava che ce l’avrebbe fatta ad arrivare a questo giorno.

Gli esami effettuati a marzo hanno rivelato che non ci sono più tracce di cancro e i medici gli hanno detto che il suo sistema immunitario è stato ripristinato al punto da non correre rischi rispetto al coronavirus. Ma lui confessa di avere paura lo stesso.

«Non lo saprai mai fino a quando non saranno trascorsi alcuni anni senza problemi. Fisicamente mi sento bene. Penso di avere i muscoli apposto. Mi sono allenato a giorni alterni con mia moglie. Ma sono ancora molto spaventato e molto preoccupato».

Qualsiasi dolore o malessere, dice, ti può far ripiombare nella paura di morire.

«Una cosa che richiederà molto tempo per sbarazzarsi è quella sensazione, ogni volta che ti svegli o vai a dormire con un po’ di mal di pancia o mal di testa o un po’ di febbre, di pensare: “Oh mio Dio, è tornato”. Sei fragile».

La storia di Vialli fa parte di un libro in uscita questa settimana. Si chiama “Obiettivi”, e il sottotitolo è “Storie ispiratrici per aiutare ad affrontare le sfide della vita”. Un duro e commovente resoconto di mesi di trattamento contro il cancro, che ha inciso sul suo fisico e sulla sua mente. Il rinchiudersi in bagno per nascondere le lacrime alla moglie e alle figlie e la paura che i genitori dovessero seppellirlo.

«Non ho mai pensato di essere invincibile perché calciatore. Sapevo di essere umano».

Ma niente avrebbe potuto prepararlo al colpo improvviso ricevuto alla fine del 2017. Un dolore alla schiena, gli dissero che era il nervo sciatico, ma intanto il dolore continuava e lui perdeva peso. Andava sempre peggio, a stento riusciva a camminare.

«Era come se fossi diventato qualcun altro».

E poi l’urina che diventa marrone e gli occhi gialli.

Vialli La ha continuato a lavorare, spesso mettendo un maglione sotto la camicia per evitare di dover spiegare i motivi del suo dimagrimento. Poi, è dovuto tornare in ospedale. La diagnosi iniziale di tumore benigno si è rivelata sbagliata ed è stato operato di urgenza. Mentre andava incontro all’anestesia continuava a ripetersi:

«Ti sveglierai di nuovo».

E così è stato. Poi sono seguiti otto mesi di pillole, flebo, droghe e sei settimane di radioterapia.

«È un bombardamento e, il più delle volte, ero insensibile e semi-cosciente».

Alcune volte si vergognava, come se fosse colpa sua. Ha mantenuto il silenzio sulle sue condizioni con gli amici per un anno. La disciplina legata al fatto di essere un atleta lo ha aiutato. Le domande su cosa mangiare e quali obiettivi darsi fanno parte del Dna di un ex atleta, racconta.

Poi, nel marzo 2019, il tumore è tornato, e sono serviti altri nove mesi di chemioterapia. Ha perso i capelli rimasti, la barba e le sopracciglia.

Racconta di essere stato aiutato dalla moglie e dalle figlie.

«Poi le mie figlie mi hanno aiutato e ho chiesto a mia moglie quale trucco fosse migliore. Abbiamo riso. Devi ridere. Devi trovare il lato divertente, se puoi».

Prima della prima operazione, seduto nella sua casa vicino Cremona, ha scritto testamento. E’ stata una delle occasioni che lo hanno spinto a riflettere sulle priorità della vita. Dice che, sebbene non possa dire di essere grato di aver attraversato tutto questo, si sente certamente più saggio.

«Nessuno vuole qualcosa del genere, ma quando succede devi vederla come un’opportunità per conoscerti meglio, il modo in cui eri, il modo in cui sei e come vuoi essere in futuro. È inevitabile che tu scopra il tuo vero io. Ci sono state così tante cose su cui ho dovuto lavorare, per cercare di migliorare».

Ad aiutarlo è stata la meditazione.

«Non avevo mai meditato prima. Vorrei aver iniziato quando ero un calciatore o, soprattutto, quando ero un manager. Avrebbe potuto salvarmi dalla follia».

La consapevolezza è importante, continua.

«All’inizio è stato difficile, ma adesso adoro essere consapevole».

Vialli avrebbe dovuto affiancare la Nazionale di Mancini come delegato, ma il virus ha fermato tutto. Ai calciatori consiglia di utilizzare questo momento di emergenza per scoprire qualcosa in più su se stessi.

«Quello che direi ai giocatori è che è un momento in cui puoi sapere più che mai qualcosa su di te. Dovresti guardarlo con curiosità. Giocare a porte chiuse: mi influenzerà? Quali sono le sfide mentali? Una crisi è un’opportunità per crescere. È il momento di guardare dentro le loro emozioni, di condividerle. Non dovrebbero vergognarsi di avere paura».

Guardandosi indietro riconosce che a 25 anni non lo avrebbe fatto, che non si è mai fermato a pensarci.

«Non credo di aver dato la vita per scontata, ma non ero abbastanza grato».

Torna sull’importanza della spiritualità, sull’importanza di guardare alla malattia come opportunità.

«Sento che la gente dice “combatti il ​​cancro”. Per me non è una battaglia. È più come un viaggio. Lo vedo come un viaggio con un compagno di viaggio indesiderato e voglio sopravvivere».

E si augura che qualcuno trovi ispirazione e stimolo dalla storia che racconta nel libro. Lo sente come un dovere quello di offrire una speranza.

 

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