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«Io, lavoratore a nero, per lo Stato sono un fantasma. Se potessi uscire, qualcosa troverei»

Il Mattino intervista un disoccupato di Scampia: «Sono prigioniero. Lo Stato se ne fotte di me e della mia famiglia, i miei figli nella stessa condizione»

«Io, lavoratore a nero, per lo Stato sono un fantasma. Se potessi uscire, qualcosa troverei»

Sul Mattino la storia di Mario De Rosa, disoccupato di Scampia, lavoratore a nero. Per lo Stato, lui, non esiste. Non ha speranze di essere aiutato. Prima lavorava in una fabbrica di scarpe, aveva uno stipendio, poi la fabbrica ha chiuso e lui ha perso tutto. Prima del virus viveva di piccoli lavoretti a nero ma riusciva a mettere un piatto a tavola per la moglie e i due figli. Ora è tutto finito. Per i primi giorni è andato avanti con qualcosa che era riuscito a mettere da parte.

«Adesso ho finito anche le briciole, non so da domani cosa porterò a tavola alla mia famiglia».

Racconta che quando la fabbrica per cui lavorava chiuse i battenti gli sembrò il momento peggiore della sua vita. Ma

«Oggi è mille volte peggio. Io sto a casa da tre settimane e cerco disperatamente una via d’uscita».

E’ amareggiato. Lui per lo Stato non esiste. Eppure ha lavorato da quando aveva 19 anni ai 57, fino alla chiusura della fabbrica, nel 2017. Adesso, se fosse ancora aperta, sarebbe a un passo dalla pensione.

«Io ho lavorato una vita intera e ho pagato tasse, versato contributi, fatto il mio dovere da cittadino. Adesso, però, non esisto più, non sono tra i lavoratori da proteggere perché io, per lo Stato, non sono un lavoratore. Non sono un cittadino da tutelare perché io, per il Governo, sono un fantasma, uno “in nero” che quindi non ha diritti. Ma vi rendete conto che il mondo se ne fotte di me e della mia famiglia?».

Anche i figli di Mario, maggiorenni, non hanno un posto fisso.

«Una ha vent’anni e s’è arrangiata in qualche lavoretto ma non è mai riuscita a trovare un posto. L’altro ha 24 anni e pure lui l’anno scorso è stato licenziato dalla fabbrica dove lavorava. Adesso anche mio figlio è diventato un “fantasma”, siamo la famiglia dei fantasmi e siccome non esistiamo non abbiamo diritto a mangiare, a mettere un piatto a tavola».

E conclude:

«Se mi consentissero di uscire di casa, riuscirei in qualche modo a trovare un lavoretto per sbarcare il lunario ma sono prigioniero. Mi creda, certe volte mi sembra di impazzire. Ma secondo lei quando leggono questa intervista si accorgono che esisto? Mi vengono ad aiutare?».

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