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Se non credete a quest’articolo, l’Ordine dei giornalisti ci mette il bollino

Si chiama Pic, e secondo l’Ordine dovrebbe risolvere il problema delle fake news: cliccate sul Pic e saprete se chi ha scritto questo pezzo è un giornalista di cui fidarsi (no, non lo è, fidatevi)

Se non credete a quest’articolo, l’Ordine dei giornalisti ci mette il bollino

Se il Pic fosse già attivo, potreste cliccare su un bollino accanto alla mia firma, e sapreste chi sono, da quanti anni sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, se pago l’obolo annuale, se sono ben aggiornato con tutti i crediti formativi a posto. Questo pezzo sarebbe garantito dal “Protocollo di Informazione Certificata”, che l’Ordine s’è inventato per evitare che io diffonda fake news tra i lettori del Napolista.

Il bollino conterrà un codice QR, così lo inquadrate con lo smartphone e verificate se potete o meno fidarvi di me. Perché secondo l’Ordine il solo fatto di esservi iscritto porta con sé precise responsabilità, persino deontologiche. Dicono che è la soluzione iper-tecnologica (il codice Qr…) alla piaga delle notizie inventate. Usano le “blockchain”, che ormai se non usi le blockchain non sei nessuno.

Marco Piccaluga, giornalista del Sole 24 Ore e consigliere nazionale dell’Ordine, è l’ideatore del Pic, che si chiama così anche perché riprende le prime tre lettere del suo cognome. Pure del mio, se è per questo, ma vabbé. Piccaluga, dicevo, spiega che “pochi giorni fa, noi tutti abbiamo visto la fotografia della testa del missile Tor-M1, tra i resti dell’aereo di linea ucraino abbattuto dopo il decollo da Teheran questo gennaio. Chi ci dice che quella foto è stata scattata esattamente in quel luogo e in quella data? Nessuno. Neppure gli esperti del New York Times sono riusciti a verificare l’originalità di quella informazione”.

E dove non arriva il New York Times vuoi che non arrivi il Pic? Perché nella visione degli esperti dell’Ordine il Pic con un’applicazione dedicata potrà rassicurare il lettore che un testo, una foto, un video sono stati prodotti effettivamente quando e dove si trova il giornalista che li pubblica. Perché sì, i giornalisti iscritti all’Ordine potranno essere geolocalizzati, “se sono d’accordo”. Così la finiamo con le corrispondenze di guerra scritte in mutande ed elmetto dal divano di casa.

Ma ancora di più: “La tecnologia ci dirà che quella specifica immagine identificata da una sequenza di pixel immodificabile, è l’unico documento autentico a testimonianza di un evento”. Capite bene – o NON capite, come me – che il livello delle argomentazioni è talmente alto (la sequenza di pixel usata come un’impronta digitale che non si sa come garantisce l’autenticità di una testimonianza… lo sentite il cervello che fa BUM?) che forse è il caso di far finta: sì, se lo fa la “tecnologia”, così, in generale, allora va bene. Risolto.

Se ci fosse già, il Pic, immagino che potreste scoprire da soli che le virgolette di cui sopra sono copincollate da Repubblica.it, e visto che il Pic ancora non c’è ma noi ci teniamo a far le cose per bene, vi mettiamo anche il link.

Forse sbaglio, ma se io fossi il giornalista decorato con 15 anni di tesserino alle spalle e decidessi di edulcorare il virgolettato di cui sopra a mio uso e consumo, senza citare fonti, verificare alcunché, magari apponendo il bollino mio personale su una clamorosa fandonia, in che modo il lettore ne verrebbe a conoscenza? Sa che l’ho scritta io, e se sono stato bravo a costruirmi una credibilità, e c’ho pure i conti con l’Ordine messi a posto, non c’è verso che non si fidi.

Potrei scrivere che Hamsik torna al Napoli perché c’è scritto sul Daily Planet, e Mario Piccirillo ha un Pic immacolato. Che fate, ci credete? Clark Kent non è iscritto all’ordine, ma – voglio dire – non vi fidereste di Superman?

Ma di più: l’Ordine – immagino per istinto di sopravvivenza o per darsi un tono – fa finta di muoversi in un mondo un po’ naif in cui l’informazione non viene veicolata dai social, in cui buona parte di chi ne usufruisce si beve – e condivide a sua volta – ogni sfondone virale, soprattutto se sfondone e se virale. In cui sapere che Mario Piccirillo è effettivamente un giornalista con esperienza quasi ventennale lo mette al riparo dal fatto che Mario Piccirillo magari è devoto ‘e San Ciro, beve, vatte la moglie e produce, proprio lui, i titoli di Libero.

Lo stesso Ordine che non è in grado di sanzionare, punire, o anche solo commentare il 90% della mala-informazione consapevole, nazionale, che distribuisce in edicola rosari infiniti di bugie condite, supposizioni, quando non proprio racconti dolosi di verità inventate.

Tralasciando che lì fuori c’è tutto un panorama di editor, collaboratori, esperti che pur non essendo iscritti all’Ordine dei Giornalisti svolgono un lavoro di informazione accurato, approfondito, magari pagato una miseria. E che non saprebbero che farsene del bollino.

E in che universo parallelo l’anziano professionista in attesa della pensione svolge per assunto un lavoro più credibile di quello di un ragazzo appena uscito dalla scuola di giornalismo, fresco di esame di deontologia (lo fanno? Esiste?), che fa uno scoop ma c’ha il Pic da pivello?

Qui sotto c’è la mia firma, vale zero o mille. Ma se il Pic fosse già attivo, sapreste che non ho ancora pagato l’Ordine quest’anno, mannaggiamme.

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