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Il Telegraph: “Dagli ultras ai dirigenti, il calcio italiano è razzista e nemmeno lo sa”

“Pensano genuinamente di sapere cosa sia la discriminazione. Gli ultimi anni suggeriscono invece che, dall’apice al fondo, sono totalmente ignoranti”

Il Telegraph: “Dagli ultras ai dirigenti, il calcio italiano è razzista e nemmeno lo sa”

Prima il “Black friday” del Corriere dello Sport, poi le “scimmie” artistiche della Lega di serie A. Ma prima ancora l'”Opti Poba” di Tavecchio, e Cellino che scherza sullo “sbiancamento” di Balotelli. Per non parlare dei casi definiti minori, per difetto di illuminazione. “Il problema razzismo in Italia è endemico e istituzionale. Il calcio italiano ha un enorme problema con le discriminazioni. E come ogni problema dello sport, riflette le tendenze della società”.

Lo scrive il Telegraph nell’incipit di una lunga analisi firmata da Nick Squires che riassume fedelmente l’immagine che l’Italia esporta all’estero, in Inghilterra soprattutto. Perché se da noi “i principali quotidiani sportivi non hanno detto una parola a riguardo”, loro questa cosa l’hanno notata. E l’hanno aggiunta al lungo elenco di indizi che producono ormai valanghe di prove: siamo un Paese razzista, per gli inglesi è così.

Il Telegraph esamina le ragioni per cui i tifosi italiani sono razzisti, anche quando dicono di non esserlo, persino quando lo credono in totale buonafede. Per l’autorevole quotidiano britannico è una questione sociale e storica, che deriva da una esperienza insufficiente di rapporto con l’immigrazione: “Gli italiani non hanno sperimentato l’immigrazione di larga scala del dopoguerra, come la Francia e l’Inghiterra. Si sono svegliati in questa realtà negli anni 2000, dopo decadi in cui gli italiani stessi emigravano alla ricerca di opportunità di lavoro negli USA, in Europa, nell’America Latina e in Australia”.

“L’Italia s’è stupita di essere diventata una società multiculturale”, dice Tobias Jones, autore di Ultra – The Underworld of Italian Football.

Non solo, ma ora che gli immigrati ci sono, non riescono nemmeno a integrarsi nel mondo del lavoro. “E’ raro vedere una persona di colore guidare un autobus in Italia, per non parlare di lavori come l’avvocato, il medico o il giornalista. In Italia gli immigrati di colore guadagnano una miseria raccogliendo frutta e verdura nel sud, vivendo in baraccopoli in condizioni poco migliori di quelle che hanno lasciato in Africa. In molti Paesi lavorare come tassisti è il primo gradino della scala economica per i migranti. In Italia è un business chiuso, occupato esclusivamente da driver bianchi. Questa triste mancanza di opportunità significa che non può esserci una classe media di colore. E significa anche che ci sono pochissime persone di colore che vanno allo stadio. Gli spalti non sono affatto multiculturali come le squadre in campo“.

E poi c’è la politica, che per il Telegraph riveste il ruolo di miccia, di moltiplicatore di pregiudizi: il successo della Lega di Salvini (“un partito xenofobo”) al governo con il M5S, aggiunto al fatto che molti ultras hanno simpatie fasciste, causa “un mix tossico”.

“I tifosi italiani continuano a ripetere di non essere razzisti. E’ difficile da digerire, ma sostengono di non offendere solo i giocatori di colore, ma tutti i giocatori avversari. Se un giocatore è calvo, dicono, lo offenderanno per quello. E così i meridionali sono chiamati ‘terroni’. E così le squadre pugliesi vengono appellate come ‘albanesi’ “.

“Io la chiamo ‘la difesa Verona’ – dice ancora Jones – I tifosi del Verona una volta esposero uno striscione in cui c’era scritto ‘non essere razzista, odia tutti’ “.

“Potrebbe anche essere – continua Nick Squires – ma ciò non giustifica però la lunga lista di episodi razzisti che ha coinvolto dirigenti e allenatori al livello più alto del calcio italiano”. E fa l’esempio di Tavecchio, il presidente della Federcalcio tristemente famoso all’estero per “Opti Poba”, e il commento sui giocatori “mangia-banane”. E poi di Cellino.

“Il razzismo si estende fino al livello più basso del calcio italiano. Ci sono stati casi di bambini di colore offesi da altri genitori, i cui compagni di squadra sono poi scesi in campo col volto dipinto di nero in segno di solidarietà”.

Ecco, per il Telegraph questo è un ottimo esempio per spiegare il livello di razzismo inconsapevole di cui siamo responsabili: “Agli occhi di un non-italiano il fatto che i compagni di squadra si debbano dipingere la faccia per solidarietà è veramente strano e mortificante per i bambini insultati”.

E così “la campagna antirazzista con le scimmie è ugualmente ben intenzionata e incredibilmente fuori fuoco. Pensano genuinamente di sapere cosa sia la discriminazione. Gli ultimi anni suggeriscono invece che, dall’apice al fondo, sono totalmente ignoranti. E se queste sono le cose che vengono fuori, a cui viene fatta pubblicità, figurarsi cosa si nasconde dietro le porte chiuse”.

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