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Insigne paga per dormire a casa. Noi, comuni mortali, pagheremmo per andare in ritiro

Quanto paghereste per dormire con moglie e suocera? Insigne 350mila euro

Insigne paga per dormire a casa. Noi, comuni mortali, pagheremmo per andare in ritiro

“Amore, mo’ che torni a casa ricordati di buttare la spazzatura, che il mangiapannolini s’è riempito. Ti ho lasciato un trancio di pizza surgelato, non fare rumore quando entri che si svegliano i bambini”.

Quando una persona qualunque finisce di giocare al San Paolo una partita di Champions, torna nello spogliatoio, accende il cellulare e trova 37 vocali: 13 della moglie, 17 della mamma in pensiero perché non risponde mai (“te la sei messa la maglia della salute sotto la divisa ufficiale di giuoco?”), 5 dell’amante incazzata e 2 del cane che lo aspetta a casa per andare a fare i suoi bisogni. Entra Edo De Laurentiis e annuncia che si torna in ritiro. La persona qualunque lo abbraccia forte, si commuove e gli bacia le mani.

Le persone comuni si chiamano Gaetano, ma di nome. E quei 625 euro di multa che sono toccati anche al giovane centrocampista del Napoli, li pagherebbero volentieri per una notte in un albergo di lusso, da soli, un po’ di Playstation e poi 8 ore di sonno filate. Senza rumori, senza pianti, senza febbri, senza sveglie alle 6, che piove e la metro non funziona un’altra volta.

Il signor Gaetano, nella vita vera, se si rifiuta di andare in ritiro con la squadra una sera di novembre del 2019, riceverà l’avviso di pagamento della multa nel 2023, con mora e spese di notifica. Già pagare così, senza manco una cartella esattoriale da ritirare alla Poste, un rateizzo, è un po’ snob. Non è socialmente accettabile.

Il populismo funziona esattamente così: il distacco dalla realtà non è nelle cifre  (quelle sono relative, la morale c’entra poco) è nella sostanza delle cose. Le costrizioni, anche le più dorate, alla lunga sviliscono per principio.

Per dormire a casa sua una notte in più Lorenzo Insigne ha pagato – pagherà – 354.583 euro. Pare scontato che il capitano non andrà mai più in albergo in vita sua. Figurarsi pernottare a Liverpool per stare vicino ai compagni di ammutinamento. Insigne le sue notti in famiglia se l’è conquistate da vero eroe della rivoluzione: affronta le conseguenze ma non molla. I veri leader fanno così, danno l’esempio. E si scelgono le battaglie.

Ci sono un sacco di cose che “i giornali non dicono”, la “gente” vuol sapere. È l’abc del complottismo spicciolo, ma vabbè. Perché nessuno racconta di quella volta che Insigne andò allo scontro con la società per ottenere l’ultimo aggiornamento di Fifa? Che Di Lorenzo era costretto a prendere l’Empoli e Llorente lo bullizzava? E quell’altra volta che prese le difese di Lozano, cui si ostinavano a servire la bresaola tagliata troppo doppia? Una volta il capitano del Napoli fu costretto a ricorrere alle maniere forti perché il wifi in sala massaggi era moscissimo: dopo essersi rifiutato di battere il cinque a tutti dopo una sostituzione, a Castelvolturno arrivò d’incanto la fibra ottica.

Insigne, più che da Maradona, studia da Landini, quello è. Il problema è la mancanza di consapevolezza che porta questi giovani calciatori, che “hanno tutto”, che “vengono pagati per correre dietro a un pallone”, a non apprezzare abbastanza i regali della vita. Tipo il ritiro.

Il ritiro è un luogo di salvezza. Una parentesi spazio-temporale per riappropriarsi della propria identità negata. Un apostrofo azzurro tra le parole “finalmente” e “dormo”. Di più, perché trattasi di ritiro “giustificato”, il sogno nascosto della grande classe lavoratrice con figli a carico: “Scusa, ma il Direttore mi ha imposto il ritiro in resort fino a domenica. Purtroppo non posso esimermi. E’ uno schifo, ma mi tocca”.

Sono quelli che alla undicesima improvvisata della suocera cominciano a progettare un reato non troppo cruento che li faccia condannare ad un 41-bis con Sky, internet e un buon libro. Quelli che addormentano la prole grazie a presidi medico-ospedalieri non del tutto prescrivibili per accendere Netflix alle 23:45 e si addormentano alle 23: 48, dopo due minuti di documentario su Maradona. Gli stessi che scendono “a pisciare” il gatto pure se il gatto solitamente fa da solo, o che al ritorno dall’ufficio ci mettono un’ora e mezza per parcheggiare nel box pur di chattare in santa pace sul gruppo del fantacalcio.

Li riconosci dalle ferite alle mani, procurate mentre recintavano il secondo bagno col filo spinato ribattezzandolo “Ufficio”. “Vietato entrare, achtung, pericolo di morte”. O dalle occhiaie che si scambiano alla consegna del bambino a scuola, senza dirsi una parola, solo un cenno del capo mentre lo sguardo spento vaga verso l’infinito di una giornata di eccitanti file Excel. Sono le donne e gli uomini che rispondono alla mail del capo mentre friggono bastoncini Findus e non capiscono dove sia l’errore nell’espressione aritmetica che il figlio non riesce a risolvere (“è sbagliata la soluzione sul libro, sient’ a mme”).

Per tutti loro sapere che da qualche parte c’è un datore di lavoro che può obbligarti, se gli gira, a tenerti una-due-dieci! notti in un hotel, rappresenta una scintilla della fede. C’è chi ha fondato religioni per molto meno. Per ogni Insigne che paga centinaia di migliaia di euro pur di stare a casa con moglie e figli c’è un esercito di persone qualunque – di nome Gaetano – che salirebbero sui banchi davanti a Edo De Laurentiis per urlargli “Capitano mio capitano!”.

 

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