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Per Serra “terun” è goliardico ma non offensivo e razzista

Per Serra “Terùn non è mai stato un termine razzista, semmai rudemente inclusivo; e ricambiato con uguale dileggio”. Noi la pensiamo in maniera diversa

Per Serra “terun” è goliardico ma non offensivo e razzista

Il Brescia torna in Serie A e festeggia al grido di “terùn terùn”.

Dopo l’1-0 sull’Ascoli di mercoledì, con cui la squadra di Eugenio Corini si è aggiudicata la promozione nella massima serie, i giocatori in campo hanno esultato così davanti al loro pubblico.

È stato il bergamasco Leonardo Morosini, racconta Repubblica, a strappare di mano il megafono al compagno siciliano Ernesto Torregrossa e ad intonare il coro, sul motivo del Porompompero.

“Frase rivolta, si presume, contro le due squadre battute dal Brescia nella rincorsa alla Serie A, il Lecce secondo e il Palermo terzo”.

Un tono che il quotidiano definisce, almeno nelle intenzioni, goliardico, più che offensivo, in un momento in cui “si dà la stura a tutto quel che esce di bocca senza pensarci troppo”.

Torregrossa però si dissocia facendo no con la mano e il centravanti Alfredo Donnarumma, napoletano, dà un paio di buffetti di rimprovero a Morosini.

Il video del coro compare per un po’ tra le Instagram Stories del profilo ufficiale del Brescia, poi scompare, ma intanto le immagini hanno fatto il giro del web ed è ancora visibile su YouTube.

L’episodio, scrive Il Mattino, si aggiunge ad altre offese comparse sui forum di tifosi del Brescia e rivolte ai leccesi, come “Prezzo del viaggio per Lecce: 80 euro vaccinazioni comprese” prima della partita dello scorso 28 aprile.

Il Brescia, per il momento, non commenta la vicenda.

Lo fa, invece, Michele Serra nella sua Amaca, su Repubblica, dove scrive che quello di Brescia è un caso che non esiste, che non bisognerebbe nemmeno montare, perché il razzismo è un problema serio, altro da questo, che con il razzismo c’entra poco.

“Il calciatore che, per festeggiare la promozione in serie A, intona il coretto irridente sui rivali «terùn» del Lecce e del Palermo non fa che perpetuare le vecchie prese per i fondelli che echeggiano, su al Nord, dalla notte dei tempi”.

Come a dire: si è sempre fatto, che sarà mai? E’ semplice goliardia.

“Fin dalle elementari (venivo da Roma) presi confidenza, a mie spese, con l’epiteto di “terrone”, un poco ottuso nel suo provincialismo goto-padano eppure mai davvero spregiativo: e anzi udito in seguito, infinite volte, nei bar e nei posti di lavoro, con tonalità confidente e quasi affettuosa”.

Serra si spinge oltre, richiamando la Milano di Jannacci e del Derby e poi di Abatantuono e poi di Aldo, Giovanni e Giacomo:

“«terùn» non è mai stato un termine razzista, semmai rudemente inclusivo; e ricambiato con uguale dileggio”.

Si è sempre fatto anche nella tipografia dell’Unità, scrive, dove addirittura si chiedeva ai meridionali dove avessero “parcheggiato il cammello?” senza provocare, per questo, alcun “incidente etnico”.

“Un lessico censurabile in Parlamento non lo è sotto una curva di stadio e un centravanti non è tenuto a parlare come un ministro. Offendersi ogni dieci minuti e gridare al razzismo ogni venti non aiuta a mettere a fuoco le offese vere e il razzismo vero”.

Scrive questo, Serra. Noi non siamo d’accordo. La goliardia dipende anche dal contesto. Una cosa è un ambiente di lavoro, magari contraddistinto da complicità, altro è quel che è successo a Brescia che invece è rappresentativo di un humus culturale.

Il linguaggio è importante, per dirla alla Nanni Moretti. Quello intonato da Morosini è un coro razzista. Punto. Poco contano le intenzioni con cui è stato intonato. Che, tra l’altro, non conosciamo noi e certo non può conoscere neppure Serra.

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