La letteratura del calcio permette di chiudere i cerchi: la finale della Coppa dei Campioni 1984, il suicidio del capitano giallorosso di allora.
“A tempo debito”
Come si può pensare che il calcio non sia un sublime esempio di fine letteratura? Come si può pensare che non esista un filo che tiene legati i momenti; un grande archivio dove vengono riposti gli ” a tempo debito”, un termometro che misura i passi della storia in attesa di rivelarla? Come si può restare indifferenti a Roma-Liverpool?
La partita che segnò un dramma sportivo di dimensioni enormi. Allo stadio Olimpico si sbriciolò la Coppa dei Campioni dal dischetto, dagli undici metri. La Roma di Pruzzo e Bruno Conti, Di Falcao, Graziani ma soprattutto di Di Bartolomei. Agostino Di Bartolomei, una figura poetica che ha il verso malinconico che accomuna la solitudine del talento con la stonatura del sistema. Il numero sette che aveva il cervello veloce ed i piedi sinceri, il viso imperturbabile e l’eleganza fine che scompigliava l’ordine avversario ed esaltava il diktat del barone. Il capitano di quella Roma che vinceva in Italia e arrivava in fondo alla massima competizione europea,fino alla fine alla lotteria beffarda dei tiri dagli undici metri.
Una notte e dieci anni dopo
Era il trenta di Maggio del 1984 e la Roma perse contro gli inglesi la possibilità di diventare leggenda. Dieci anni dopo, esattamente dieci anni dopo “Dibba” decise di dare aria alla sua pistola e si tolse la vita.
Coincidenza? Strumentalizzazione giornalistica? Fantasia spicciola? Risposta ovvia? Conclusione romantica? Nessuno lo sa e potrà mai sapere se quel rimpianto sia stato un pugno quotidiano allo stomaco del campione, fatto sta che il regista dal viso imperturbabile sembrava soffrire l’indifferenza, l’irriconoscenza verso una carriera che aveva racchiuso una vita da leader silenzioso, in una borraccia di fogli da prima pagina svuotata fino a divenire cenere di piombo. Agostino scelse di porre fine ai suoi giochi nel decennale della disfatta in un sordo coro di disperazione taciuta.
Chiudere i cerchi
Roma- Liverpool dovrà essere per forza anche la sua partita,con quella fascia stretta al braccio di De Rossi che pulserà di memoria e grazia. Nessuno può negare ad un ricordo di prendere forma e in questa storia come nel 1984 l’indifferenza deve fare spazio al rispetto per il passato, al ritorno della magia di quella delusione che gelò tutto il popolo giallorosso ma profondamente,innegabilmente un’anima pura con sul dorso la numero sette. Roma-Liverpool non dovrà essere una rivincita banale, di quelle che si promettono al bar sport, ma un momento solenne di celebrazione della poesia del pallone.
Nel nome di Agostino che avrà immaginato ogni giorno, ogni momento la possibilità di rigiocarla, e di prendere per le orecchie quella gratitudine negatagli negli anni. Roma-Liverpool è già la chiusura di un cerchio maledettamente fantastico che è la letteratura del giuoco del calcio.