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Sudditanza psicologica, Var e gli allenatori italiani: cosa resta della Champions

Le due notti di Champions lasciano in eredità diversi temi, non solo arbitrali: i vincitori sono soprattutto i tecnici Allegri e Di Francesco.

Sudditanza psicologica, Var e gli allenatori italiani: cosa resta della Champions

La due giorni di Champions League appena archiviata propone alcune riflessioni. Belle e brutte.

Max Allegri

Come già scritto da “Il Napolista”, il tecnico della Juventus esce dal Bernabeu quasi da vincitore. Soprattutto nella sua immagine. La sua prudenza lo invita a tacere sui fatti arbitrali, anche perché oggi è alla Juve e domani non sa su quale panchina si siederà. Anche dopo il (non) gol di Muntari di 6 anni fa, pur se amareggiato, non polemizzò eccessivamente.

L’allenatore professionista, l’uomo di calcio navigato, sa che purtroppo certe “storture” esistono, e meno parla e meglio è. E sa che un giorno può toccare anche a lui di beneficiare della sudditanza arbitrale.

La sudditanza psicologica

Inutile girarci intorno. Esiste e favorisce i potenti di turno. Sfido chiunque a convincermi che al 93’ di APOEL-Juventus l’arbitro avrebbe fischiato lo stesso rigore decisivo a favore dei ciprioti nelle stesse condizioni. Però la colpa è anche nostra che l’abbiamo sempre accettata supinamente, come una cosa ineluttabile.

Le zone franche

Molti commentatori si sono affrettati a dar ragione a Buffon, almeno sul fatto che in certe fasi della partita (molto presto e alla fine) le decisioni non andrebbero prese secondo regolamento, ma con quello che viene definito “buon senso”. Una sorta di zona franca, all’interno della quale non si dovrebbe, ad esempio, espellere un calciatore troppo presto “se no si condiziona tutta la partita”. E in una partita equilibrata non si dovrebbe fischiare un rigore all’ultimo secondo “se no si è indirizzato il risultato”.

Colpa anche degli addetti ai lavori, che troppo spesso hanno messo pressione agli arbitri italiani in questo senso, condannandoli per “mancanza di buon senso” nel caso di decisioni scomode prese senza guardare in faccia a nessuno, al primo minuto come all’ultimo.

Le interviste a caldo

Sono la linfa vitale dei media sportivi. Ma sono anche una trappola gigantesca. L’adrenalina ti fa dire di tutto, spesso anche le verità più inconfessabili. Come quelle che Buffon, alla fine della partita, ha dato in pasto a mezzo mondo, ovvero che, in quanto giocatore prestigioso e anziano, non si sente uguale agli altri e si aspetta un trattamento diverso. Che lui e la sua squadra meritavano rispetto da un arbitro sbarbatello, a prescindere dai regolamenti e dagli episodi di gioco. Quasi un trattamento di favore. 17 anni nella porta della Juventus devono aver pesato molto nel suo modo di pensare.

Meglio sarebbe per tutti un salotto del giorno dopo, con interviste pacate e meno rischiose. Difficile, quasi impossibile da realizzare però.

Andrea Agnelli

Fa quasi tenerezza quando invoca il Var. Dimenticando la fiera opposizione di società, tesserati ed ambiente juventino sin dalla prima ora. Con tanto di battute sul baseball e sul “furto di emozioni”.

L’uscita su Collina poi sa tanto di regolamento di conti, inopportuna per un signore che ricopre un ruolo ufficiale all’interno della UEFA. Non che in UEFA le cose vadano benissimo dal punto di vista arbitrale, sia chiaro. Ricordo però che quando analoghe rimostranze furono espresse da De Laurentiis dopo Napoli-Dnipro (e per fatti ancora più eclatanti), l’intero movimento calcistico italiano si dissociò, ridicolizzando il presidente del Napoli.

Gli allenatori italiani e il bel gioco

Di Francesco ed Allegri hanno dimostrato che giocare e bene e vincere si può. Entrambi hanno preparato le rispettive partite benissimo. Entrambi, da uomini di calcio, avevano intuito che i pesanti risultati dell’andata avrebbero indotto un po’ di rilassamento nei loro avversari. Ed hanno aggredito e colpito due corazzate, spaventandole a morte, fin quasi ad eliminarle entrambe.

Più che il calcio italiano, ad uscire a testa alta da questa due giorni è la scuola degli allenatori italiani. Ai quali dovrebbe essere concesso di costruire con calma le proprie squadre, anche a costo di qualche sconfitta. Lasciando il tempo di realizzare il famoso “progetto” tante volte naufragato a Roma e mai realmente portato avanti fino in fondo dalla Juventus per l’esigenza di vincere subito, impedendo a quest’ultima di creare una squadra vincente anche in Europa.

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