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Mi sono innamorato del Napoli nel giorno dello scudetto, quando ho visto mio padre felice

All’inizio non condividevo questa passione per l’azzurro, poi ho vissuto la festa per lo scudetto e non ho più smesso di sperare in un nuovo trionfo del Napoli.

Mi sono innamorato del Napoli nel giorno dello scudetto, quando ho visto mio padre felice

La domenica

Quel giorno del 1987, avevo da poco compiuto i 10 anni e vivevo a Napoli centro, miez a’ Pignasecca, per l’esattezza. Io, piccolo di casa, insieme a mia madre, mio fratello e mia sorella, mio padre lo vedevamo poco, molto poco, per via del fatto che lui lavorava in un paesino vicino (faceva due lavori per portare avanti la famiglia e uno di questi era il cuoco in un ristorante aperto solo di sera.). Usciva di casa alle 5,30 e non tornava prima dell’una di notte. Tutti i giorni tranne la domenica. Una vita sacrificata per noi, fatta di rinunce, levatacce e bocconi amari, ma per la quale tutti provavamo un gran rispetto e una grande ammirazione. Che eroe quell’uomo.

La domenica, era il giorno più bello della settimana per tutta la famiglia. La colazione tutti insieme con la pizza che portava papà il sabato notte, il solito Pino Daniele come sottofondo, spesso una passeggiata in villa comunale, poi il lauto pranzo, il rito delle partite alla radio sgranocchiando noccioline e dolcetti davanti all’immancabile schedina, poi il caffè e l’ammazzacaffè a casa delle nonne e delle zie “n’copp o’ Vommero”. Ero felice.

L’attesa

Malgrado della splendida giornata non condividessi la passione per il calcio e per il Napoli, che invece stringeva e faceva fremere i cuori di mio fratello più grande e di mio padre. Forse ero troppo piccolo e il calcio non era visibile come ora, o, forse, la radio, unico mezzo per seguire le partite, non era abbastanza coinvolgente per un bimbo vivace e rompiscatole come me… Fatto è che il pallone non faceva ancora parte della mia vita. In ogni caso per stare accanto a mio padre e a mio fratello, passavo la domenica attaccato a loro e all’ipnotico suono del romantico apparecchio radiofonico. Quella domenica di maggio però successe qualcosa di straordinario.

Non ricordo la spasmodica attesa per la partita da parte degli altri uomini di casa, quel diffuso nervosismo che pervade chi è in tensione per un avvenimento importante, mai visto prima, e che, sicuramente, gli altri De Lillo della famiglia, notoriamente molto attaccati alla squadra della loro città, provavano in quel momento. Ma ricordo, come se fosse ieri, i minuti e le ore successive alla matematica certezza del tricolore.

La festa

La gioia, il delirio, la gente impazzita, i caroselli, il traffico, i fuochi d’artificio, quel colore azzurro che tingeva ogni cosa e ogni anima …ma soprattutto, ho vivido il ricordo della mano destra di mio padre, tenere la mia mano sinistra nel pieno della festa. Stretta stretta per non perdermi nella bolgia festosa che mi aveva portato a vedere, a vivere… trascurando gli insistenti scongiuri di mia madre preoccupata dalla follia che imperversava in quel momento. Perché lui, da tifoso appassionato, lo scudetto lo aveva sempre e solo sognato, ed ora non gli sembrava vero, mi piace pensare, di condividere tutto quello con il suo ultimo figlio (mentre il primo, abbastanza grande, festeggiava insieme ai coetanei…) dimenticando per un pomeriggio la fatica, i sacrifici e forse la rabbia per una vita che aveva sperato diversa.

Ecco, forse proprio in quel momento sono diventato tifoso del Napoli e forse sempre allora, ho deciso che se avessi avuto un figlio, lo avrei chiamato come quel masaniello che fece gridare e piangere mio padre, mio fratello, e tutto un popolo intero 30 anni fa. Glielo dovevo, a mio modo di vedere.

Il sogno di oggi

Dopo di allora, ormai tifoso accanito ma più grande, ho avuto altri motivi per festeggiare (sempre troppo pochi, però…) ma nessuna celebrazione mi ha dato tanta gioia e tante emozioni come quel primo scudetto. E, in cuor mio, forse, ho sempre saputo il perché. Sono passati 6 lustri da quel giorno, io ho ormai 40 anni e mio padre non c’è più. Ma oggi sono anch’io papà come lui alla mia età, e proprio come lui ho un sogno. Quello di scendere per strada a festeggiare felice insieme alla mia gente e ai miei cuccioli. Tenendo le loro manine strette strette come fece mio padre con me a suo tempo. Perché i De Lillo fanno così.

Se esiste un Dio del calcio, non può fare finta di nulla. Per il mio amore, per quello di mio padre, e per quello di tutti i tifosi come me che non aspettano che quel fatidico giorno. Io ci credo, perché non dovrei.

Post scriptum

Il mio primogenito, di quasi 8 anni, a differenza mia alla sua età, è già un tifoso del Napoli e del calcio in genere. E di ciò mi assumo tutti i meriti e la responsabilità. Ma con il nome che ha, come poteva non piacergli il pallone… Forza Napoli, sempre.

Raccontate al Napolista il giorno all’improvviso in cui vi siete innamorati del Napoli, scrivete a redazione@ilnapolista.it

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