La fila per entrare nei Distinti, l’odore dell’erba, i calciatori bianconeri che non alzavano lo sguardo verso il San Paolo. E il Napoli di Vinicio.
Napoli-Juventus
Un giorno all’Improvviso. 14 Ottobre 1973, ore 11.30, mano nella mano con mio padre. Sette anni di vita e una sostenibilissima leggerezza dell’essere. La fila dei distinti. Gente che si infilava, che urlava, che imprecava di far presto, nonostante mancassero tre ore e più all’inizio dell’evento, il mio evento battesimale. Napoli-Juventus, la sfida di sempre, oggi come ieri.
Promessa mantenuta. “Prima o poi ti porto” mi fu detto e attendevo quel giorno dall’inizio del campionato. Travolto dalle paure e mezzo tramortito dalle emozioni, presi posto a due metri dalle inferriate che separavano i distinti dalla curva B. A mezzogiorno lo stadio era pieno come un uovo e quei gradoni li ricordo alti dieci metri. Ogni tanto qualcuno pioveva dal cielo ed atterrava accanto a me. All’epoca si scavalcava.
Le formazioni a memoria
Era il mio primo anno di collezione Panini e conoscevo a menadito i giocatori di tutte le squadre di serie A. Non vedevo l’ora di mettere la teoria in pratica, di respirare l’erba, di vedere finalmente dal vivo tutto ciò che sino a quel momento avevo solo immaginato, incollando l’orecchio alla radio, quando le voci di Ameri, Ciotti e Bortoluzzi, inframezzate dagli inviti a consumare Stock 84 e Grappa Julia, raccontavano poeticamente un calcio che non esiste più.
Ovviamente del profumo dell’erba neanche a parlarne, ma verso l’una colsi l’essenza assoluta dell’essere tifoso del Napoli. Dal sottopasso sbucarono in giacca e cravatta i giocatori avversari. Vidi gente trasformare il volto e modificarsi geneticamente.
Solo Furino, Bettega e Benetti, il macellaio, ebbero il coraggio di alzare lo sguardo verso la folla. Gli altri completarono in pochi minuti un inutile mezzo giro dell’area di rigore per poi fare rientro negli spogliatoi. Fischi, offese irripetibili, in una parola l’odio assoluto. La cosa mi sembrò di una gravità assoluta, ma il lieve sorriso disegnato sul volto di mio padre riuscì a stemperare il mio sbigottimento e all’entrata delle squadre in campo sventolavo la mia bandiera azzurra d’ordinanza, facendo capolino tra le teste dei tifosi in piedi davanti a me.
Della partita ricordo poco.. ma fu un due a zero. Un gol per tempo. Canè con un sinistro nel sette ed un rigore (sì, un rigore…) di Clerici per atterramento di Braglia. Per la cronaca, fu l’ultima vittoria del Napoli contro i gobbi prima dell’uno a zero con punizione di Maradona. Ricordi scolpiti, indelebili, dolcissimi. Come il ritorno a casa, quando affogai la mia gioia tuffandomi a cofanetto nel ragù di mia madre.