Non aveva la patente e prendeva la notte per il giorno. Quando finì a Poggioreale, regalò tutto ai detenuti
Non aveva la patente
Non aveva la patente, Michele, e prendeva la notte per il giorno; così se lo incontravi, saliva sulla tua auto e ti portava in giro, in posti di Napoli che chicazzo li conosce – meravigliosa Napoli profonda dove abita gente che non ha mai visto il mare, e dove camminano ombre, ologrammi, gatti, fantasmi, un teatro con la quarta, quinta, sesta dimensione ed oltre, di raccapricciante bellezza.
E lui parlava, la voce profonda che balbettava un po’, perché lui era timido e signore. Naturalmente con lui s’imbarcavano gli scatoloni di tutte le zacarelle che poi vendeva a mercato (mi vendette gratis il nostro primo cane Tom) ed una sera con noi viaggiavano, in un cartone, alcune animelle del purgatorio timorate di Gesù Cristo e qualche piatto sbreccato, un portacarte Luis Philippe, che non si vedeva più Luis e manco Philippe. Tutto regolare.
Mi chiamava “mongola”
Erano le quattro del mattino e ci fermammo davanti alla chiesa del cimitero delle Fontanelle, in contemplazione. Io scapozziavo ma non mollavo: mi chiamava “mongola”, affettuosamente perché pure se ero una rampollazza borghesuccia pensava, bontà sua, che avrei potuto se non convertirmi, almeno migliorare, anche grazie ai suoi insegnamenti. Se bombardi di arte e di poesia la gente o scappa o magari il prosciutto dagli occhi se lo scosta. Quand’ecco che giunse una pattuglia della Polizia: patente, libretto, documenti: uno sguardo diffidente alle animelle; tutto a posto, solo che risultava che lui, qualche tempo addietro, aveva preso una mozzarella, senza pagarla: per mangiare, se uno ha fame, prende. Se lo portarono.
Io ed altri amici lo riempimmo di cose a Poggioreale, dai calzini, alle maglie, le mozzarelle, mandarini, coperta. Quando uscì, non aveva addosso manco i panni suoi: aveva regalato tutto ai detenuti. E potrei continuare per ore. Ma mò, faciteme chiagnere.