Per un quarto d’ora, Lorenzo ha avuto il compito di sostituire Verratti come creatore del gioco. A centrocampo, non nella sua zona. Come se un’idea del genere possa davvero bastare.
Il video
Pochi secondi, per capire. Anche se non è che si capisca benissimo, in realtà, diciamo che si intuisce. Comunque: siamo a un quarto d’ora dalla fine di Svezia-Italia, e Ventura decide che è arrivato il momento di Insigne. Il cambio sarebbe anche giusto, esce Verratti (ammonito) e Italia che passa al 4-4-2 o 4-2-4 che dir si voglia. Parolo-De Rossi davanti alla difesa, Eder e Immobile in attacco, Barzagli terzino di scivolamento. C’è a chi piace, c’è a chi non piace. Questa era l’idea. O forse no: ce lo dice questo breve video (tratto da Twitter, dal profilo di Vittorio De Gaetano)
L’imbarazzo e l’incredulità di #Insigne nel confermare che avrebbe giocato al centro al posto di Verratti.
“AL CENTRO! SI !”#SveziaItalia pic.twitter.com/mKo5JUBlka
— Vittorio de Gaetano (@VdeGaet) 10 novembre 2017
Al centro! Sì!
Se non avessimo la conferma rispetto a quello che si è visto in campo, più le parole di Insigne nel postpartita («Ventura mi ha chiesto se me la sentivo di sostituire Verratti»), faremmo quasi fatica a credere che un allenatore di una certa esperienza possa chiedere a un esterno offensivo – un giocatore con compiti di regia creativa, e un gran piede per conclusioni e rifiniture – di interpretare il ruolo di mezzala. Anzi, di sostituire un interno con chiari scopi di “scompaginazione” rispetto alla difesa avversaria.
In base a quello che è stato dopo, Insigne avrebbe dovuto prendere la palla dietro e inventare qualcosa. Punto. Difficile andare oltre, nel senso di disperazione e povertà di idee. Come se un solo calciatore, in azione dinamica, potesse fare qualcosa senza l’aiuto dei compagni. Maradona, durante l’azione che portò al gol del siglo, fu aiutato da qualche movimento dei compagni, in un calcio ancora schiavo delle marcature ad uomo.
Ieri sera, Insigne ha giocato un buon numero di palloni e alcuni li ha effettivamente sprecati. Ma è entrato in un ruolo non suo, a situazione già compromessa, per cercare di cambiare le cose. Da solo. Senza un background di riferimento. Come quando il difensore centrale diventa centravanti boa negli ultimi minuti, che almeno ha senso perché c’è un’iniezione di fisicità nella zona di campo in cui si cerca di far arrivare il pallone. L’ipotesi di Ventura è stata: palla a Insigne, poi vediamo che succede.
E non è successo niente, perché non può succedere niente se ci sono due attaccanti schierati dietro due centrali di un metro e novanta, gli esterni (Darmian a parte) salgono poco e i centrocampisti che potrebbero inserirsi sono Parolo e De Rossi. Anche nel Napoli non succede nulla se Insigne ha il pallone e Callejon non si muove o Mertens non viene incontro o Hamsik/Mario Rui/Jorginho non si offrono per lo scarico ravvicinato. Guardate quante opzioni. Ieri quante ne aveva Insigne (tra l’altro al centro)?
Lunedì
Si parla di 4-2-4 per lunedì sera, ma la questione non risiede qui, ovviamente. Non è il numero di attaccanti o esterni che rende una squadra offensiva, quanto l’interpretazione della partita e i principi di riferimento. Fin quando l’Italia di Ventura praticherà un calcio da due tocchi su palla verticale per cercare di andare in porta, il contributo concettuale di Insigne sarà inutile. Sarà impalpabile.
La confusione di Ventura è proprio questa. Pensare che un calciatore (dei calciatori) lontano (lontani) da certi principi possa (possano) cambiare le cose. L’ingresso di Insigne, a Stoccolma, è il manifesto dell’improvvisazione. Al posto di Verratti, poi, neanche a parlarne.