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L’Italia e l’Europa celebrano il ritorno del centromediano metodista

Dopo un decennio di dittatura del doble pivote, il regista di centrocampo (come il reparto a tre uomini) è tornato imprescindibile. Nomi e suggestioni tattiche.

L’Italia e l’Europa celebrano il ritorno del centromediano metodista
Jorginho (Ciambelli)

Il calcio che cambia (e a volte torna indietro)

In Sudamerica gioca con il cinque, viene definito “Volante”.  Falcao alla Roma, primi anni Ottanta, era un volante classico. La nomenclatura è in onore di Carlos Volante, argentino di Lanus, una stagione nel Napoli negli anni Trenta. Corsi e ricorsi, incroci e suggestioni. C’entra il Napoli, parecchio. È il regista di centrocampo, il vecchio centromediano un ruolo che ha sempre esercitato un certo fascino e che l’Italia del football  postmoderno ha “affidato” ad Andrea Pirlo. E che oggi, complice anche l’evoluzione del calcio, è tornato prepotentemente al centro della narrativa, epica e tattica, del gioco.

L’idea per questo articolo ci è venuta in redazione, mettendo a confronto prestazioni e movimenti di Lucas Leiva e Jorginho, i due volanti di Lazio e Napoli. L’ultima partita della squadra di Sarri è anche un modo per capire le diverse interpretazioni di chi occupa una certa parte di campo. Anzi, di chi è tornato ad occuparla. Perché nei primi anni Duemila, quelli del centrocampo doble pivote, a due uomini e tre trequartisti, il ruolo era stato decisamente annacquato, diluito in favore del talento offensivo. Da Pirlo in giù, Italia ed Europa hanno riscoperto il valore e l’essenza dell’uomo che opera davanti alla difesa. E le varie declinazioni possibili.

Diverse tipologie

Se l’ex Juve e Milan è un trequartista prestato alla cabina di regia, c’è invece il centromediano metodista “duro e puro”, più vicino all’ideale di Lucas Leiva – che corre, che recupera palloni, che gioca in maniera (solo apparentemente) semplice. Il riferimento, per calciatori con queste caratteristiche, porta il nome e il cognome di Sergi Busquets.

È il segreto del Barcellona di Guardiola, di Luis Enrique, oggi di Valverde. È stato celebrato ai massimi livelli in un articolo di Andrea De Benedetti su Rivista Undici: «Sergi è un fuoriclasse vero, quello che conquista più palloni e ne perde di meno; quello che fa in modo che la palla transiti pulita e sicura dai piedi del portiere a quelli di Messi e che sa metterla in sicurezza  nelle zone più selvatiche del campo in attesa di rinforzi; quello che copre Piqué quando a questo salta il ghiribizzo di cercare il gol e che si sdoppia quando gli attaccanti sono troppo stanchi per abbassarsi a dare una mano».

Ecco, c’è modo e modo di interpretare le consegne del regista. Il piede che taglia il campo, come Pirlo; l’equilibratore alla Busquets; il palleggiatore sincopato alla Jorginho; Diawara, pantera dal repertorio completo, tecnico e fisico insieme; Casemiro, incontrista illuminato; De Rossi, ex mezzala di inserimento elegante e con infinita saggezza nella lettura del gioco.

La costante sta nella necessità di un centrocampo a tre, con due interni a occupare/coprire gli spazi laterali. Le inclinazioni, ovviamente, dipendono dalle caratteristiche dei terzetti singoli e dai principi di gioco della squadra: se a Modric e Kroos va necessariamente affiancato un calciatore con polmoni d’acciaio e buona tecnica (Casemiro), accanto a Jorginho possono giocare anche due mezzali più spiccatamente offensive (Hamsik e Zielinski). De Rossi è meno dinamico, allora dentro Nainggolan e Strootman; Pirlo non è un fenomeno in fase di copertura, allora occorrono Gattuso e Seedorf (Milan) oppure Vidal e Marchisio (Juventus).

Centro di gravità

Tutto ruota intorno alle skills di questi calciatori, ormai, nessuno sembra riuscire a rinunciare ai tre uomini a centrocampo e all’idea di avere un riferimento centrale, subito davanti alla difesa. Il centromediano, appunto. Per impostare il gioco, per occupare gli spazi. In Serie A, Juventus e Inter sembrano rinunciarci ma intanto hanno Borja Valero e Pjanic nel doble pivote. Loro si assumono l’onere della prima costruzione. Con una discreta sapienza, aggiungeremmo.

Anche il concetto diffuso di difesa a tre non prescinde dal vertice basso del triangolo di centrocampisti centrali: nel Milan, Bonucci compone e comporrà con Biglia l’asse su cui nascerà letteralmente la fase offensiva; la stessa Lazio, pur non utilizzando tre centrocampisti puri, non rinunciava all’argentino passato al Milan e ora non prescinde dall’ex Liverpool Lucas Leiva. E così un po’ in tutta Europa, la figura del centromediano/regista è una specie di virtuale certezza. Tattica, tecnica e narrativa.

Il profilo è mutevole, il Napoli ha un giocatore atipico a occupare quella posizione. Basta rileggere sopra per accorgersi che il centromediano moderno è un calciatore dal profilo misto, fisicato eppure dotato dal punto di vista tecnico. Nella squadra “titolarissima” di Sarri, Jorginho è un’eccezione. Perché non ha grandi qualità difensive o di corsa, è un puro ed elementare “batterista del gioco”, tiene il tempo, scandisce l’azione e distribuisce palloni. Del resto, piaccia o meno, il Napoli è tutto un’eccezione. E si esprime meglio con un regista di questo tipo, piuttosto che con un prototipo più comune – perché completo, anzi modernamente completo – come Diawara. I due centri di gravità possibili del Napoli, diversi eppure di grandissimo valore.

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