Il mercato è un concetto moderno: vendere per comprare, cercando di migliorare con innesti giovani. Funziona così dovunque, facciamo fatica a digerirlo.
Una vecchia abitudine
L’apertura del Corriere dello Sport online, nei minuti in cui scriviamo, racconta di Monchi. Di quello che sta facendo sul mercato, della sua politica, delle sue cessioni propedeutiche agli acquisti. Salah è ufficiale al Liverpool, secondo il racconto delle ultime ore dovrebbe andare così anche per Paredes e Manolas allo Zenit San Pietroburgo. Non per fare sempre il parallelo, ma è esattamente – per età e caratura all’interno della squadra – come se il Napoli vendesse, nel giro di una settimana, Callejon, Diawara e Koulibaly.
Il Corriere dello Sport ha perfettamente ragione, da quotidiano romano, ad aprire così la sua edizione online. È una vecchia abitudine di Monchi, non dell’Italia. Concepire il calciomercato come un mondo in evoluzione, sempre in movimento, mai fermo, da alimentare continuamente con la forza delle idee, è una cosa europea. Non della Serie A. Lo sappiamo benissimo a Napoli, noi reduci dall’anno Higuain-gate. Lo sappiamo bene dappertutto, con le contestazioni a Firenze, i mal di pancia di Torino (Dani Alves, Sandro e Bonucci alla Juventus) e Milano (Donnarumma, Perisic), la stessa Roma. Il web, sempre secondo il Corsport, è scatenato contro il diesse spagnolo. Solo che il diesse spagnolo è interprete di quella che è la filosofia che (divide et) impera nel calcio internazionale. Un sistema di concetti semplici, lineari. Sei un top club che può permettersi di mantenere rose e costi di alto livello? No? Allora vendi per crescere, rifondi per migliorare. Può andare male? Certo. Ma non c’è un sistema che funziona di sicuro, nel calcio.
L’idea della grande squadra
Si legge spesso, in riferimento al Napoli o alle squadre italiane – anche alla Juventus. “I top club sono top club perché trattengono i top player”. Vero, ma fino a un certo punto. Cristiano Ronaldo ha lasciato il Manchester United per il Real Madrid; Di Maria ha lasciato sempre lo United per il Psg; Toni Kroos ha lasciato il Bayern Monaco per il Real Madrid; Robben ha lasciato il Chelsea per il Real Madrid, poi è passato al Bayern Monaco; Xabi Alonso fece il percorso inverso, dalla Castiglia alla Baviera. Per farci capire: i top club trattengono i grandi giocatori fino a che possono, ma poi vendono. Possono farlo, devono farlo. Per cambiare qualcosa, per provare a crescere seguendo un’altra strada.
Figuriamoci quando non sei un grande club. Come la Roma, come il Siviglia, come il Napoli. Il luogo dei sogni di Monchi, un uomo che fa il calciomercato secondo una concezione moderna. L’unica possibile, per provare a vincere. Anche il Corsport lo scrive, ma sembra provare a convincerci: «Ora comincia la fase preferita del diesse spagnolo, quella degli acquisti». I nomi sono conosciuti solo dagli appassionati di Football Manager: Foyth, Lemos, Quincy, Kardsrop del Feyenoord è il più famoso.
Un buon 75% dei tifosi (non solo italiani) direbbero così: “E chi sono questi?”. La risposta è semplice: sono il modo per provare a crescere, perché se solo uno di questi quattro dovesse funzionare come chi l’ha preceduto (prendi un Manolas), la Roma ci ha guadagnato un nuovo Manolas e i soldi per provare ad acquistarne altri due. E così, a getto continuo. Questa è l’idea alternativa della grande squadra, quando le finanze non sono al top. A volte succede anche quando il fatturato è alto, guarda sopra.
La scelta del Napoli
Il Napoli edizione 2017 ha scelto un’altra strada. Mantenere tutta la rosa, confermare i migliori senza imbastire ulteriori rivoluzioni. È un tentativo, esattamente come quello della/e grande/i cessione/i. È una possibilità alternativa, secondo alcuni tifosi è “il modo migliore per provare a vincere davvero”. Solo che Monchi ha vinto davvero, tre Europa League di fila e poi un’altra dieci anni prima e qualche altro trofeo sparso.
L’apertura del Corriere dello Sport online ci spiega quanto il nostro sistema sia distante da questo tipo di concetti. Non è colpa del quotidiano romano, ci mancherebbe. Ma siamo lontani, tutti, dall’assorbimento di questo sistema. Dall’idea che un certo calcio, di alto livello, funzioni riciclando continuamente acquisti e cessioni. La seconda squadra d’Italia viene ribaltata dal suo nuovo diesse spagnolo. I tifosi non applaudono, non sembrano fiduciosi. L’immagine d’apertura arriva da internet. Ma intanto dovranno verificare tutto sul campo. La sua contender diretta (gli stessi punti in classifica negli ultimi due campionati), che l’anno scorso ha fatto più o meno la stessa cosa (con una sola cessione, Higuain, si è migliorata) ora sta raccogliendo i frutti economici e tecnici di questa strategia. Ha già verificato sul campo che può funzionare.
Proprio per questo, magari, noi tifosi e analisti potremmo raccontare tutto questo senza il sopracciglio alzato. Ecco, ci farebbe fare un passo avanti. Ci avvicinerebbe a Monchi. A quello che succede all’estero. Ci riempiamo la bocca senza sapere che il modello spagnolo, quello che va e funziona oltre il Real Madrid e il Barcellona, contempla ogni anno una rivoluzione di mercato. E i giovani, anche quelli sconosciuti.