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La psichiatra Russo: «De Laurentiis è un dittatore intelligente, lacunoso nella gestione del gruppo. Di Sarri sappiamo poco»

Analista junghiana e tifosa del Napoli: «Ha grandi doti di management, meno nella membership. Ma, in fondo, non si prende mai troppo sul serio. Sarri integra i suoi limiti»

La psichiatra Russo: «De Laurentiis è un dittatore intelligente, lacunoso nella gestione del gruppo. Di Sarri sappiamo poco»
Aurelio De Laurentiis

Analista junghiana, tifosissima del Napoli

«Dittatore intelligente». Le prime due parole valgono il titolo e condensano un interessante colloquio di quaranta minuti. Paola Russo, psichiatra, analista junghiana, nonché grande tifosa del Napoli, fotografa così il presidente del Napoli e la situazione che da una settimana tiene banco mediaticamente nell’ambiente azzurro. Ci siamo rivolti a lei per capire di più della dinamica dei gruppi di lavoro. L’obiettivo iniziale è comprendere se un gruppo di lavoro rende meglio quando opera in armonia, oppure se la conflittualità può aiutare a essere più competitivi. Otteniamo un discorso interessante sulla leadership e sulle sue possibili declinazioni. È disponibile a una chiacchierata che coniuga rigore scientifico alla leggerezza indispensabile quando si parla di calcio.

La dottoressa, da tifosa con un passato da abbonata in Curva A, ha una idea piuttosto chiara dello sfogo madrileno di De Laurentiis e non è dissimile da quello della maggioranza dei napoletani. Lei, come ormai fa abitualmente, ha visto tutto in differita. Non segue più le partite del Napoli in diretta. «Troppa sofferenza, mi accaloro troppo. Preferisco registrarla e vado al cinema. Guardo la partita dopo aver saputo il risultato».

“I lavoratori non scelgono solo in base ai soldi”

Da psicologa ha un approccio scientifico. E ci spiega che «è stata recuperata la teoria di inizio Novecento e cioè l’importanza nelle organizzazioni produttive della soggettività». Soggettività, non individualismo, precisa. «È il riconoscimento dei bisogni dei lavoratori. I lavoratori producono di più se stanno meglio, perché non è che un soggetto indossa la tuta, il camice, quello che sia, e dimentica quello che vive fuori. Esistono sempre entrambe le dimensioni, sia quella personale, affettiva, sia quella istituzionale».

Il fordismo? Le chiediamo. «Nemmeno tanto», precisa lei. «Negli anni Novanta, la Gallup elaborò un questionario per le organizzazioni produttive. Per venticinque anni in America hanno intervistato un milione di lavoratori con l’obiettivo di far emergere le caratteristiche che rendessero un luogo di lavoro adeguato e in grado di incrementarne la produttività. Un questionario di dodici domande. Ebbene, la conclusione è stata che, rispetto a dei benefit che poteva concedere l’organizzazione, i lavoratori potevano rinunciare ad aspetti economici anche di avanzamento – e in questo momento sto pensando ad Hamsik o a Mertens – purché avessero un capo, una leadership che li considerasse anche come persone».

Paola Russo

De Laurentiis ha doti di managemente, meno di membership

Quindi l’armonia, o comunque la considerazione sul luogo di lavoro, conta eccome. La dottoressa Russo fa una distinzione tra management e leadership. «Sul primo punto non possiamo dire nulla a De Laurentiis, sarebbe come negare la realtà. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. A chi parla di fortuna, posso dire che nemmeno la fortuna è casuale».

Più complesso, invece, è il discorso sulla leadership. «Esistono diverse tipologie di leadership. C’è quella carismatica, tutta centrata sulla personalità del capo che viene visto come personaggio eccezionale. Leadership che rende però adepti piuttosto ciechi, passivi. Non a caso, quando il leader sbaglia, o va in difficoltà, gli altri non riescono a sopperire al suo errore. C’è il leader diagnosta, quello che sa regolarsi in modo da far rendere al meglio le persone. Un’attività non solo manageriale, anche pro-sociale. E infine c’è la leadership trasformazionale che divide il management e l’aspetto della leadership. Il management è fondamentale, è la base. E De Laurentiis ha un’evidente capacità manageriale».

“Trasferire il senso di appartenenza non è il suo forte”

C’è, però, l’aspetto della leadership. «Molte imprese scindono il management dalla leadership, non è detto che la stessa persona sappia assolvere a entrambe le funzioni. Chi esercita la leadership – spiega – deve avere un visione più ampia, sostenere i rapporti informali, creare un clima confortevole. Deve avere anche la capacità di guidare il gruppo, dando fortemente il senso di appartenenza. E contemporaneamente guardare la membership, cioè gli aspetti individuali delle persone che vivono il lavoro non soltanto come un’attività produttiva ma anche come un progetto personale che riguarda il prestigio, lo stare bene, non solo l’aspetto economico. Se uno lavora, desidera anche ricevere soddisfazioni, vuole essere riconosciuto».

“Gestire un gruppo vuol dire sapere che non siamo soltanto razionali”

Su questo versante De Laurentiis è senza subbio lacunoso. «È un carismatico. Ma il concetto di membership evidentemente non è il suo forte. Non cura troppo, o comunque non sembra curare troppo i bisogni, i riconoscimenti individuali. Io lavoratore che mi sento intercambiabile con un altro, ne sono anche frustrato. Un certo livello di frustrazione può anche stimolarmi a fare meglio, però non è detto. Può suscitare reazioni di rabbia. Il discorso di gruppo è un discorso estremamente complesso. Bisogna sempre ricordare che il gruppo non è la somma dei singoli, è qualcosa di diverso. Tant’è vero che in gruppo abbiamo reazioni che da singoli non avremmo. Gestire un gruppo vuol dire sapere che non siamo soltanto razionali. È un lavoro tutt’altro che facile. Bisogna curare l’appartenenza al gruppo, in modo che la competizione non si trasformi in astio, in invidia, non sia distruttiva».

I meriti di Sarri nella gestione dei calciatori

Un compito che evidentemente De Laurentiis delega ad altri, a Sarri innanzitutto. «Sarri è stata una persona che ha saputo motivare, c’è poco da fare. Higuain ne è un esempio. Lo stesso Mertens. Abbiamo a che fare con esseri umani, non robot o supereroi. E quindi, come tutti gli esseri umani, soggetti a gelosia, invidia, competizione, senso di inferiorità, bisogno di emergere. Sarri è bravo da questo punto di vista. Ma è come se De Laurentiis si affidasse alla cosiddetta leadership diffusa. Anche questo fa parte di una intelligenza da leader. È il classico gioco del poliziotto buono e del poliziotto cattivo. Lui interpreta il suo ruolo di cattivo e lascia curare gli altri aspetti a persone che condividono il progetto. Penso a Sarri innanzitutto, ma non solo. Ad esempio anche il medico sociale De Nicola, che ho conosciuto, mi è parsa una persona molto responsabile e vicina alle persone. E ci saranno altre figure in società».

Le chiediamo che cosa salva De Laurentiis. La risposta è netta: «La capacità manageriale. Ripeto, De Laurentiis ciacca e medica. E delega, non so quanto consapevolmente, altri aspetti a figure di contorno».

“È un mix del prototipo romano e di quello napoletano”

È un uomo che offre di sé un’immagine piuttosto arida, parla quasi esclusivamente di soldi. «È la sua forza, mostra i muscoli. I soldi, in questa situazione, sono il punto di forza anche nel progetto. De Laurentiis è un uomo che si distingue. Sembra sempre che ti stia prendendo per il sedere. È un misto tra il napoletano e il romano. Ha preso aspetti del prototipo del romano e del napoletano. Del primo ha l’arroganza, il “ce penso io”, “ma ‘ndo vai”, e del napoletano quell’aspetto di non prendersi sul serio fino in fondo. È un dittatore intelligente, porta gli obiettivi a casa, questo è innegabile. E poi ci sta facendo divertire».

E Sarri? La dottoressa non si sbilancia: «Vorrei conoscerlo meglio, sinceramente. È un tipo sornione, che non si fa capire molto bene. Perché apparentemente quanto è carino, quanto è delicato, quanto è controllato, mi piacerebbe conoscerlo. Ho poco da dire su di lui».

Pier Paolo Pasolini in versione ala

Il calcio e Pasolini

Al di là del Napoli, alla psichiatra quasi si illuminano gli occhi quando parla di calcio. «È bellissimo. Aveva ragione Pasolini. È un rito collettivo unico, sopravvissuto nel tempo, dove ci si mette di tutto: l’appartenenza, la guerra, l’esaltazione dell’eroe. E in un rito collettivo le differenze sono completamente annullate. Ricordo che quando andavo in curva A, c’era un gruppetto dietro di noi che aveva un leader ben identificato in una persona di una certa età. All’epoca si andava allo stadio ore prima, si portava il caffè. Un giorno incontrai questa persona fuori contesto. Era un piccolo ambulante che vendeva fiori, era dimesso, di tutt’altro spessore dalla verve e dalla forza che aveva sugli spalti. Lì era un leader». Il calcio è una passione, ricorda le trasferte, una a Firenze «quando Chiarugi ci fece gol» e si capisce che potrebbe andare avanti per ore.

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