ilNapolista

Restituite il sorriso a Insigne il 25enne iscritto a un gioco più grande di lui

Lorenzo non doveva tirare il rigore contro il Besiktas, ma è reduce da una carriera vissuta con addosso etichette esagerate. E da un’estate gestita in maniera suicida dal suo entourage.

Restituite il sorriso a Insigne il 25enne iscritto a un gioco più grande di lui
Com'è cambiato Insigne in pochi mesi

Lorenzo Insigne ha la mia età. Quattro mesi e quindici giorni di differenza, io sono pure leggermente più grande di lui. Quindi, in qualche modo, mi sento di poterlo capire e comprendere più di ogni altro. Per tutto questo, mi sento anche in dovere di difenderlo. Di difenderlo da tutti coloro che lo rappresentano, da tutto ciò che rappresenta. Il vero problema di Lorenzo Insigne è proprio questo. È la narrazione di quello che è stato, è la gestione di quello che è.

Cominciamo dal presente, da un rigore sbagliato perché non doveva tirarlo. E su questo, molto umilmente, chiamerei a rapporto Maurizio Sarri. Io che non so niente di calcio, che ho un millesimo della sua cultura calcistica e non, gli chiederei come mai non si è imposto dalla panchina affinché quel calcio di rigore non fosse tirato dall’unico calciatore che non doveva tirarlo. Non perché non sia uno specialista (prima del Besiktas, cinque tentativi e quattro gol), ma perché è un calciatore che vive un periodo di crisi realizzativa e che a me sembra umorale, sofferente dei e nei momenti di pressione psicologica. Nel caso il mio amico Maurizio (sì, lo stimo talmente tanto da considerarlo un amico) mi rispondesse «Perché volevo consentirgli di sbloccarsi», io robatterei: “Lo sblocchi in un altro momento, non in quello decisivo per la tua Champions League”. Prendo in prestito questa frase da una persona più grande di me che dice di aver avuto esperienze da allenatore. Non per questa sua qualifica, ma perché mi sono trovato d’accordo con lui. Non doveva tirarlo, soprattutto l’altro ieri sera, dopo che il Napoli ha perso due partite e lui non segna da aprile.

Per verificare la statistica dei rigori di Insigne, ho aperto la sua pagina Transfermarkt. Per noi che proviamo a raccontare il calcio, questo sito è la bibbia. Non a caso, è tedesco. Precisione assoluta. Nella main di ogni giocatore c’è un box dati che fa un po’ il riepilogo della sua anagrafica, dei suoi dati fondamentali. Sotto, uno screen. Vediamo se trovate qualcosa di strano.

Insigne

Indizio: “Incerto”

Ho letto più volte quella dicitura “Incerto” alla voce Procuratore, ci ho cliccato sopra. Devo ammetterlo, è venuto fuori un elenco pieno pieno di campioni: Hazard, Koke, Aubameyang, Morata. In pratica, sono i calciatori che non sono rappresentati da un agente o da un’agenzia all’interno del circuito riconosciuto da Transfermarkt. Niente di strano, ci mancherebbe. Però, io che so la storia, faccio fatica a non considerare strano quel termine “Incerto” buttato lì. Cioè, della serie: avete mai visto o sentito o saputo del procuratore di Hazard che va in radio a chiedere uno stipendio tipo tre volte più alto di quello che percepisce attualmente dal Chelsea? Avete notizia del procuratore di Aubameyang che rilascia interviste in cui dice o sottintende che il rinnovo col Dortmund è a un punto morto e ci sono squadre su di lui?

Insigne è stato gestito in maniera suicida. Mediaticamente suicida. I modi sono stati sbagliati, le richieste sono state sbagliate (perché esorbitanti), i tempi sono stati sbagliati. Su questi ultimi c’è necessità di una digressione: tu procuratore, nell’estate in cui il Napoli vende Higuain alla Juventus e rinnova ad Hamsik il contratto fino a una certa cifra di ingaggio, vai a chiedere al Napoli gli stessi soldi percepiti da Higuain nella stagione precedente? O almeno, se questo non è vero, lasci che la stampa veicoli queste informazioni, queste sensazioni? Un suicidio, appunto. Che, tra l’altro, cozza con l’assoluta coerenza, con la perfetta intelligenza e l’eccezionale realismo che l’uomo-Insigne dimostra ogni qual volta si presenta ai microfoni. Parole semplici, precise, sempre le stesse: «Io voglio stare nel Napoli, al contratto non penso». Senza margine di interpretazione, senza ambigui riferimenti. O c’è qualcosa di sbagliato prima, o c’è qualcosa di folle dopo. Le lacrime di mercoledì sera ci fanno propendere verso la prima ipotesi. Quella è roba vera, delusione vera.

Le stesse lacrime che raccontano l’altra faccia della medaglia, la difficilissima narrazione con cui un ragazzo di 25 anni come me è costretto a convivere da sempre. E che mi fa inveire, come mercoledì sera, contro il pubblico italiano. Non napoletano, non è una questione territoriale o limitatamente territoriale. È una cosa che abbiamo noi italiani, tutti o quasi o sempre. Se fai una ricerca su Google con la chiave “Insigne”, la terza pagina che gli algoritmi ti segnalano è quella di un articolo di calciomercato.com, che si intitola “Insigne, non sei Totti: via dal Napoli finché sei in tempo”. Non l’ho neanche letto, trovo ingiusto solo pensarlo. Il fatto che Insigne non sia Totti, a livello calcistico, non gli dà la possibilità di rimanere a giocare a calcio – qualche volta male, a volte discretamente, altre divinamente – nella sua città? Perché un calciatore deve avere così tanta difficoltà a uscire indenne dal suo stesso ambiente? Ci è riuscito Totti, forse Maldini. Ma anche loro (ecco perché è un problema italiano), alla fin fine, hanno avuto momenti di frizione non indifferenti con la loro tifoseria o con la loro stampa.

Le lacrime di mercoledì ci dicono che Insigne non è in grado di reggere questa pressione, non lo è ancora dopo non esserlo mai stato. Certo, è colpa sua, del suo essere umorale. Ma è anche colpa di Totti e Del Piero, calciatori e idoli a cui è stato (molto) incautamente avvicinato. Il talento c’è, i colpi pure. Non arrivare a tanto, non essere sempre decisivo o determinante, non dare sempre e comunque spettacolo: ecco, tutte queste cose non sono necessariamente una mancanza. Il pubblico non lo capirà mai, quindi io chiedo a Insigne di farlo. Di rassegnarsi al suo stato attuale di ottimo giocatore che sfiora la dicitura del campione e guarda da lontano quella del fuoriclasse. Ma che, però, può essere comunque utile alla sua squadra. Molto utile. L’ha dimostrato l’anno scorso, quando in un periodo di grazia ci ha dimostrato quello che poteva essere e poi è ridisceso di nuovo a livelli di normalità. L’ha dimostrato quest’anno, pure. Questo è uno stralcio di un articolo pubblicato il 27 settembre scorso, su queste pagine:

Insigne è forte e importantissimo anche così, normale. Quando ripiega per assistere Ghoulam, quando gestisce bene i palloni che riescono a bypassare la linea di pressing degli avversari. Quando da sinistra pennella due assist in diagonale per il puntuale inserimento di Callejon dall’altra parte, o quando trova Hamsik nel corridoio per il gol del 2-0 contro il Chievo. Altro che non decisivo.

A noi, davvero, non importerebbe nulla se Insigne non superasse i 10 gol stagionali quest’anno. Nel caso dovesse continuare a sfornare assist così e a giocare così bene nelle cose semplici, Lorenzo Insigne va benissimo. Certo, ci rendiamo conto che Insigne ha doti e narrazione del grande calciatore, e quindi ha bisogno di fare cose eccezionali per essere davvero compiuto. Ci sarebbe poi il discorso sulla Nazionale e sul suo senso di ciliegina sulla torta, ma lì subentrano discussioni infinite di adattabilità tattica, modulo. Di “senso” vero e proprio riferito alla nazionale.

Il discorso è sempre lo stesso, si rinnova. Insigne deve staccarsi da questa sua immagine di aspirante fuoriclasse. Insieme a lui, devono farlo i suoi procuratori e tutti coloro che orbitano intorno al Napoli. Riconosciamo tutti di aver esagerato, guardandolo a Pescara nel 2012 e immaginando il fenomeno assoluto del futuro. Magari, col tempo e senza pressioni, sarà lui a dimostrare che ci siamo sbagliati. Sarebbe la miglior rivincita possibile.

ilnapolista © riproduzione riservata