Lo strani pomeriggio di Gabbiadini, introverso giovane bragamasco. E nel Napoli i centravanti fuori uso passano a due.
Gabbiadini che perde per un attimo il lume della ragione (calcistica) e reagisce in maniera plateale e scomposta a un fallo subito da tergo: ovvero quello che proprio non ti aspetti dal mite ragazzotto bergamasco al quale fino a ieri pomeriggio alle 15,31 avevi rimproverato solo di essere un apatico che vive in un mondo abitato solo dalla sua famiglia. Del quale solo lui possiede la chiave.
Un introverso, a farla breve, che continua a pagare in termini di carriera il peccato caratteriale.
Gabbiadini è tutto questo, ma alla nostra latitudine non può e non deve sorprendere se accade che un calciatore che non ha mai subito l’onta dell’espulsione – in 153 partite di Serie A – perda i lumi e reagisca in maniera violenta. Che diventi, cioè, quello che non è mai stato. Per un attimo, ma poco importa. Mai meravigliarsi, dunque, ma l’indomani – a bocce più ferme e avendo superato l’esame del Prater di Crotone – è giusto tentare di venirne a capo.
Che cosa è successo a Manolo?
Perché, dunque, Manolo è uscito di testa dando ragione alla scienza che ha già dimostrato che in ognuno di noi riposa, pronta a esplodere, una vena di follia? La risposta è pronta da servire in tavola: a Napoli la pressione dell’ambiente che vive intorno alla squadra – in pratica circa un milione di persone – è insopportabile più che altrove ed è più forte perfino dei nervi fin troppo saldi di un ragazzo che ancora oggi, campione affermato ma sempre in rampa di lancio, considera il mestiere del calciatore alla stessa stregua del lavoro da metalmeccanico che al suo paese, nella valle bergamasca, ha continuato a esercitare anche quando era un calciatore ormai (quasi) affermato. Una eccezione rispetto alla regola ed è questo che deve far riflettere. In quella età, cioè, nella quale un ragazzo che ha le stesse aspirazioni e le stesse qualità calcistiche si considera, invece, già un campione e si dà alla pazza gioia, il giovane Gabbiadini andava all’allenamento vestendo mentalmente ancora la tuta e magari con una pinza e qualche bullone dimenticati in tasca. Ha fatto bene Pietro Gargano a rilevarlo: se si parte da questo episodio si risale agevolmente dal particolare del ragazzo di officina al calciatore affermato ma ancora incapace di confrontarsi con una piazza onnivora e perennemente sopra le righe come è quella napoletana.
Scusate, ho sbagliato
Anche la reazione che ha avuto dovrebbe aiutare a capire: non è stata in linea con il personaggio che mai ti immagineresti in preda ad un raptus. Dopo, a fine gara, Manolo è tornato ad essere Gabbiadini: braccato dai microfoni si è rifugiato in un angolo e ha trovato soltanto la forza per dire: chiedo scusa, ho sbagliato. Che è tanto, tantissimo, considerate le abitudini della casa. Se è giusto che uno così debba essere costretto, dal contratto e dai soldi che guadagna (ora sono davvero tanti e sfiorano i tre milioni) a smettere la tuta del metalmeccanico e a indossare i panni del divo è tutto un altro discorso. Maurizio Sarri, uno che la tuta non l’ha mai smessa, ha affrontato la delicatissima questione nel dopopartita di Crotone e noi siamo del tutto d’accordo con quello che propone: nessuna indulgenza nei confronti del ragazzo, meno che mai una pacca sulla spalla in segno di benevola comprensione, ma, al contrario, linea dura e niente sconti. Ha sbagliato e deve rendersene conto. «Cosa fare deve fare Gabbiadini? Deve lavorare e smettere di dare ascolto a chiunque. La società credo che lo multerà, anzi spero che lo faccia». Poche sentite parole che, per chi ha un minimo di dimestichezza con le questioni che attengono alla psicologia dei rapporti, sono da interpretare come una prova di affetto del tecnico nei confronti del ragazzo. Con un invito perentorio a non rinchiudersi, come abitualmente avviene, in se stesso. Anche da Pepe Reina che caratterialmente deve essere considerato l’esatto contrario di Manolo è venuto lo stesso invito: «Poche chiacchiere, abbiamo bisogno di lui e allora ci desse una mano».
I centravanti fuori uso passano a due
Punto e a capo, insomma, ma intanto i centravanti fuori uso passano a due e il piatto continua a piangere. Anche se Sarri fa professione di certezze: i miei attaccanti sono di qualità. Fuori i nomi, mister, e auguri di cuore.