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Ermanno Rea napoletano e scrittore rigoroso

Ermanno Rea si allontanò definitivamente dopo la delusione del Premio Napoli. Il suo buen retiro in penisola sorrentina con l’oste letterato.

Ermanno Rea napoletano e scrittore rigoroso
Ermanno Rea (foto di Francesco Mileto)

Oggi è un giorno triste per Michele De Maria, l’oste che ha tradotto i sonetti di Shakespeare e ha letto, in originale, buona parte dei classici della letteratura anglosassone: la morte di Ermanno Rea è un colpo al cuore per gli abitanti di Massalubrense che avevano imparato a voler bene a quel “bel signore” con la testa sempre più candida che per amore del paese – ma anche perché non è mai stato sufficientemente ricco per permettersi di più – aveva acquistato un piccolo rustico sull’impervia scarpata che dalla villa di Gioacchino Murat – invano sognata da Berlusconi che ha desiderato per anni di acquistarla o almeno, di trascorrervi una notte, naturalmente non da solo – e l’aveva ristrutturato. Trasformandolo in una baita da mare. Per raggiungerla, però, era necessario scendere, e naturalmente salire, più di cento scalini, una fatica non indifferente anche se ricompensata dalla bellezza quasi irreale del luogo. Ermanno amava profondamente quella casetta: «Quando sto lì in terrazza con il Golfo nello sfondo e il profumo dei limoni che mi inebria, non posso desiderare altro», mi diceva mangiando la pizza di Michele insieme a Nicola Cattedra, un giornalista letterato e politico della Sicilia terra di grandi spiriti. E a tanti altri intellettuali che avevano scelto il ristorante di Michele a Pastena come una sorta di buen retiro: ricordo, tra gli altri, Maurizio Valenzi, che qui organizzò una mostra dei suoi dipinti, e Georges Vallet l’archeologo francese studioso della Magna Grecia innamorato della costiera sorrentina. Serate indimenticabili, Michele cascava dal sonno ma non si perdeva una parola e spesso partecipava al dibattito. Giorni felici spazzati via dalla falce.

Nel giorno della morte del grande scrittore ho scelto di proposito di partire da un ricordo dal basso: Ermanno avrebbe condiviso questa scelta che è stata sempre la sua. E Massa, in scala, è Napoli. Rea ha amato la sua città, ma, dopo la delusione del Premio Napoli del quale è stato il presidente di una sola brevissima stagione, si è definitivamente allontanato. Fece lo stesso sulle macerie del Partito comunista napoletano che ha mirabilmente ricostruito nel suo capolavoro – Mistero napoletano ha compiuto venti anni ed è stato ristampato perché è ancora una voce altissima del nostro patrimonio culturale – e in tutti gli altri suoi libri, da La dismissione che ha ricostruito la triste vicenda dello smantellamento dell’Ilva di Bagnoli poi diventata Italsider prima di finire nella polvere a Napoli in ferrovia. La conclusione è amara: Napoli ingrata non ama i suoi figli migliori e l’indifferenza nei confronti di Rea che aveva avviato una riforma profonda del Premio Napoli per inserirlo nel grande circuito letterario sta lì a dimostrarlo. A dispetto dei freddi attestati di vicinanza, mai di pentimento sincero e autentico, che allo scrittore sono arrivati quando era ormai via da Napoli. E viveva tra Milano e Roma, sereno e appagato con i suoi familiari. Ma profondamente deluso dal corso degli eventi e dalla deriva morale che invano aveva denunciato.

Uomo di sinistra di altra tempra, rigoroso e coerente fino all’estremo, nemico giurato dei compromessi e degli accomodamenti ammiccanti, amico degli ultimi come Michele De Maria e Teresa, sua moglie che Ermanno definì “una regina ai fornelli”; negli ultimi anni, evidentemente per un moto di reazione, volle cimentarsi anche con la politica attiva accettando di essere capolista della circoscrizione meridionale nella lista per L’Altra Europa per Tsipras. Riscosse un buon successo personale – 11mila preferenze – ma dovette cedere il passo a Barbara Spinelli. Una parentesi, solo una parentesi, quella del ritorno alla politica attiva: Ermanno Rea amiamo ricordarlo e piangerlo come scrittore e giornalista autore di inchieste che hanno lasciato il segno. Come quella svolta risalendo l’intero percorso del Po. Una volta presi l’ardire di proporgli di risalire il corso, molto più breve ma immensamente più drammatico, del Sarno, che avevo seguito per una inchiesta apparsa su Il Mattino, e lui, generoso fino all’estremo, rispose: perché no! Non se ne fece niente, ma quella promessa ancora mi scalda il cuore.

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