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Caro Napolista, fu la Coppa Uefa a rendere quelli i migliori anni della nostra vita

Caro Napolista, fu la Coppa Uefa a rendere quelli i migliori anni della nostra vita

Alessandro Chetta sul Corriere del Mezzogiorno interviene nel dibattito nato sul Napolista per il 29esimo anniversario del primo scudetto e lo fa sottolineando il valore della Coppa Uefa del 1989. Un articolo lieve, preciso ed efficace come è nello stile di Chetta. Ve lo riproponiamo. 

Ode allo scudetto, remoto (Massimiliano Gallo) e venturo (Alfonso Fasano), ma perché, caro Napolista, dimenticare le Coppe nel novero delle gioie partenopee? Escluse le tre strisciate, nel calcio moderno italiano solo Napoli (Uefa ’89), Lazio, Samp e Parma, hanno alzato una coppa europea. Una maniera, l’unica, per farsi ammirare dall’universo pallonaro europeo e quindi mondiale. Un po’ di più, scusate, di uno scudetto. A meno che non sei il Leicester, vieni dalla B e vinci la Premier (boom). E poi: siete consapevoli vero che Maradona é icona globale, dall’Indonesia all’Artico, soprattutto per quei due mondiali da extraterrestre (‘barrillete cosmico de que planeta viniste?’) e non per le 7 stagioni a Napoli. Coppa del mondo non Serie A italiana. Sul Napolista però si discute di bellezza e memoria intrinseca ai grandi exploit sportivi azzurri, perciò ci soffermeremo su questo.

Ho iniziato a capire che il calcio fosse essenziale per l’homo sapiens con i mondiali di Mexico ’86. Prima c’era solo l’eco ancestrale dei lampi di Pablito in Spagna e qualcosa sui gol da calcio d’angolo del Pibe de oro. Francia-Brasile, quarti di finale, nel mio ricordo durò 3 giorni perché varcai per la prima volta le colonne d’Ercole del 90°. Ero con mio padre e il signor De Marco del primo piano, davanti alla tv e non osavo chiedere: e mo’ che succede, se finisce 1-1? Successero i supplementari. Ancora 1-1. Avevo i brividi. Cos’accadrà. Se la giocano a tressette? No, ancora più bello: i rigori. Sbagliarono Platini e Zico. Passarono i galletti. Io, stremato, elettrico, quella sera ero nato al calcio. Era il 21 giugno 1986. Non vi dico il giorno dopo: Argentina-Inghilterra. Diego divenne un Capo di Stato. Sapevo che nel Napoli faceva già mirabilie ma all’Azteca dribblò ogni fantasia. Così via fino al 3-2 ai tedeschi in finale. Mi sono dilungato ma è per dire che la formula dentro o fuori delle coppe è per me la parte più avvincente del pallone. Il vero incontro sul ring, dead or alive. Il volgare pareggio non è ammesso, come negli atti decisivi di vita (Marco Ciriello docet).

Il primo scudetto fu un volo a planare. Proprio perché in quella temperie, pensavo, con Maradona in squadra, il Napoli eleatico era e non poteva non essere (il migliore). Il difficile, l’insormontabile venne in Coppa Campioni. Azzurri re d’Italia ma sbattuti fuori con insostenibile leggerezza dal Real ai sedicesimi. Subito, tà-tà. Un parto di 9 mesi per lo scudetto e poi che flop, proprio nella mia adorata Coppa.

Venne poi il Primo Maggio 1988. Napoli-Milan. Per favore non dite nulla (ancora Ciriello). Soltanto questo: perdemmo lo scudetto e quindi la Coppa Campioni e scivolammo in Coppa Uefa. Non tutti i gol di Virdis vengono per nuocere.

Coppa Uefa 88/89 che facemmo nostra. E vi sfido, Napolisti, consapevole di vestire la tonaca di Lutero. Siate sinceri, di una sincerità sconcertante: posto che l’avversario era sempre la Juve, nostra signora kryptonite, per voi il termometro delle emozioni è stato più forte nel 3-1 a Torino, quel 3-1, oppure al gol di Renica del 3-0 al San Paolo, quarti di finale, supplementari, minuto 119, quando Brio dichiarò: ‘Ho sentito venir giù lo stadio”. So che state rispondendo in coro ‘Torino!’ ma l’inconscio (l’Es direbbe Freud) indica Alessandro Renica, che corre tarantolato e divarica le braccia ossute, storte mentre il San Paolo crolla. Ci fu poi Monaco di Baviera, dove only the braves. Infine Stoccarda, aggrappati alle corde vocali di Pizzul, megafonate all’unisono da tutte le case di tutta Napoli e provincia come un discorso alla radio di Chavez. Klinsmann pareggiò Alemao, e qualcuno (io) cambiò televisore, meglio quello da cameretta, più fortunello. E venne Ciro Ferrara, napoletano, a siglare un gol alla Pelè che contava due (la rete che vale doppio altra finezza pitagorica delle coppe), della sicurezza. Campioni Uefa, un intero continente presta attenzione, regala audience. Schizzai dalla gioia come non avevo fatto, no, il 10 Maggio ’87, perché la freccia che centra l’arco in un quarto di secondo ti sballa più di una vittoria a scacchi. Tutto in una notte.

Faccio una concessione: è vero che il secondo è cchiù bello ancora; il tricolore del ’90 ha un sapore barricato da intenditori perché acchiappato sul rush finale e con un avversario titanico, il Milan di Sacchi, laddove col primo scudetto, sempre sia lodato, abbiamo prevalso sulla Juve sazia dell’ultimo Platini e un Inter non ancora ‘dei record’.

Perciò toccare una storica semifinale, l’anno scorso, in Europa League ha pesato enormemente sul mio giudizio, alla fine in pareggio, su Benitez. Vincere a Wolfsburg (4-1) è stata l’unica impresa del Napoli di de Laurentiis, coronato, pensateci bene, da tante belle vittorie (il 2-3 alla Juve, lo 0-2 alla Roma, lo 0-4 al Milan) ma da una sola vera impresa: Wolfsburg. In Coppa, e dove sennò.

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