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I 70 anni di Arrigo Sacchi: «La monetina di Alemao? Se parlo, vado in galera. Decise la politica»

I 70 anni di Arrigo Sacchi: «La monetina di Alemao? Se parlo, vado in galera. Decise la politica»

Primo aprile 1946, nasce Arrigo Sacchi che quindi oggi compie settant’anni. Uno degli uomini più divisivi del calcio italiano. Protagonista assoluto del Milan di Silvio Berlusconi, squadra che vinse il suo primo scudetto strappandolo al Napoli allo stadio San Paolo il primo maggio del 1988. Col Milan, Sacchi vinse due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali, due Supercoppe europee, uno scudetto. Poi lasciò e disputò una finale mondiale nel 1994, persa contro il Brasile ai rigori. A Napoli, per ovvie ragioni, non è mai stato amato. C’è ancora chi, per certi versi, lo considera un sopravvalutato.  

Oggi Sacchi ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport. Settanta domande, una per ciascun anno d’età. E c’è il Napoli in tre risposte. Una è dedicata a Maradona. Alla domanda “L’avversario più difficile da affrontare, a parte lo stress?”, risponde: «Maradona. Unico, irripetibile. Una personalità pazzesca».

Ma il passaggio più controverso si riferisce allo scudetto del 1990, quello che il Milan perse subendo la rimonta del Napoli. Quello che a Milan definiscono lo scudetto di Alemao, dimenticano il gol non concesso a Marronaro in Bologna-Milan (guardalinee Nicchi) e ricordano come se fosse ieri l’arbitraggio di Lo Bello in Verona-Milan 2-1 con tanti espulsi tra cui Van Basten e lo stesso Sacchi.

Questo il passaggio. Al secondo anno di Milan (in realtà è il terzo, ndr) perde lo scudetto per la faccenda della monetina di Alemao. Rabbia? «Tanta. Ma quella volta ci furono cose poche chiare. Poi ho saputo, però sto zitto sennò mi mettono in galera». Nemmeno uno spiffero? «Diciamo che la politica non fu estranea a quella vicenda».  

Poi altre domande, poche sulla Nazionale, tutte incentrate su Baggio con risposte non proprio benevole («Contro la Nigeria non ci salvò lui, ci salvò Okocha che continuava a perdere palloni perché voleva dribblare tutti»). Sacchi rivela che da piccolo faceva il radiocronista a scuola, parla della sua ossessione per il calcio, dello stress. Se non avesse scoperto il calcio? Risponde così: «Mi dissero che, se fossi nato in Sudamerica, sarei andato in montagna a fare il rivoluzionario. Forse avevano ragione».

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