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Gigi Simoni, il genoano che non è riuscito mai a sposarsi con Napoli

Gigi Simoni, il genoano che non è riuscito mai a sposarsi con Napoli

È stato giramondo del pallone, adesso si sta riposando facendo il consulente-presidente della Cremonese, del resto non è nato ieri l’altro. Luigi Simoni da Crevalcore (BO) è ancora oggi un uomo semplice con l’etichetta di allenatore “provinciale” e all’italiana attaccata addosso come una seconda pelle. Una cosa, però, non gli si può negare, ovvero la caratteristica di persona perbene e pulita. Pur girando tantissimo, da giocatore e poi da allenatore, ha comunque conservato quell’aria scanzonata ed ironica, un po’ allegrotta, del suo essere bolognese, di saper anche ridere di se stesso. Un po’ come faceva il mitico Eraldo Pecci quando si è fatto conoscere dalle nostre parti. Oggi a 77 anni compiuti possiamo dire che Gigi Simoni è una di quelle icone del calcio che ci piace, una di quelle persone al quale puoi andare a chiedere consigli non solo tattici ma anche sul modo di trattare i giocatori. Simoni e il Napoli, un destino incrociato più volte ma che non ha mai avuto una piena realizzazione. Tanti i treni partiti per la città di Partenope ma nessuno è arrivato a destinazione, poche le presenze da giocatore, finita male l’esperienza da allenatore. Basti pensare alla finale di Coppa Italia negatagli da Ferlaino nel 1997 quando in panchina, per ripicca, mandò Montefusco.

Da giocatore il Napoli lo acquista in prestito a 22 anni dal Mantova per la stagione 1961-62, per il campionato che dalla B lo doveva portare in serie A e dare ai tifosi la prima gioia vera, la conquista della Coppa Italia. Quell’anno Simoni giocò 11 gare con gli azzurri indossando quasi sempre la maglia numero 7, quella che una volta si definiva dell’ala tattica. L’anno dopo il “Petisso” Pesaola diede l’assenso alla sua cessione e il Napoli lo rigirò ai virgiliani dai quali poi spiccò il salto verso le esaltanti stagioni nel Torino. Simoni incrociò poi gli azzurri nelle sue varie peregrinazioni per la penisola, soprattutto quando con Meroni nei granata formava una splendida coppia di centrocampo che alla tecnica aggiungeva il cervello fine ed i piedi educati. Ma il tecnico emiliano è stato soprattutto simbolo ed icona del Genoa, questo è indubbio. Al suo nome è tra l’altro legato un episodio che non sappiamo quanto veritiero sia. Si racconta, infatti, che fu lui, in qualità di capitano dei grifoni, ad “annullare” la trasferta di Coppa Italia del settembre del 1973 quando a Napoli ci fu l’epidemia di colera. Una volontà che però costò al Genoa la sconfitta a tavolino per 2 a 0 (letteralmente “per rinuncia”). Infatti gli azzurri nella città ligure non misero neanche piede e un giornale dell’epoca, in sede di pronostico, scriveva “Si giocherà la partita di Marassi? Il Napoli bloccato da due domeniche di fila dalle paure connesse con l’esplosione epidemica potrebbe incocciare nel terzo stop consecutivo….” ( dal Totocalcio, 11 settembre 1973 ).

Nella sua ultima stagione da giocatore, il Genoa finì miseramente in serie B con il peggior attacco e la peggior difesa del campionato e nella tappa napoletana del gennaio 1974 Simoni era in campo con una squadra di vecchietti dove, oltre a lui, sparavano gli ultimi colpi da professionisti gente come Spalazzi, Garbarini, Rosato e Mario Corso (in quella partita sostituito da un certo Denis Mendoza, venezuelano di nascita ma friulano di adozione, in pratica il solo straniero oriundo della serie A dell’epoca !). L’unico, in quella squadra, che avrà un futuro sarà Roberto Pruzzo, allora acerbo attaccante fermato, però, da un ottimo Vavassori. La gara la risolse un altro “vecchietto”, il nostro Canè, al penultimo gol ufficiale con la maglia del Napoli. Quando Simoni smise di giocare a Genova, la sua ultima piazza da atleta, lo pregarono per farlo sedere in panchina. Era quello il suo destino poiché era stato allenatore già in campo, aveva il piglio di colui che ti dice dove ti devi posizionare e dove devi lanciare il compagno. È stato, dunque, allenatore del Genoa a più riprese per un totale di otto anni passati sulla panchina rossoblù, se non un record dopo Garbutt e Gasperini poco ci manca.

Nell’estate del 1996 i destini tra Napoli e Simoni si incrociano di nuovo. Boskov ha fatto il suo tempo, ha lasciato una squadra dodicesima e il Napoli prende, dall’Ancona, l’uomo di Crevalcore, pare su suggerimento di Ottavio Bianchi che vede in lui l’uomo adatto alla rinascita della squadra. Ci credono un po’ tutti tanto che Ferlaino spende e spande sul mercato. Aglietti, Caccia, Caio e Beto sono delle delusioni, funzionano meglio Turrini sulla destra e Milanese sulla sinistra ma il Napoli perde presto la trebisonda. È secondo in classifica prima della sosta di Natale, l’ambiente è euforico e la partita al San Paolo è sempre scoppiettante, trasudante di passione. Nella famosa Napoli-Verona del “Giulietta e ‘na zoccola” Milanese tira la bomba al 92’ e fa cadere lo stadio, una bolgia che raramente ho visto nella mia vita. E banane al vento che sventolavano verso la zoccolona shakespeariana. Dopo Natale non si capisce più niente, sconfitte in serie e Simoni che è costretto alle dimissioni perché non gli viene rinnovato il contratto. Si accaserà all’Inter e andrà come tutti saprete, i nerazzurri vinceranno la Coppa Uefa con Ronaldo ed arriveranno secondi in campionato. Purtroppo la squadra si sfalderà e si accascerà sotto i colpi del Vicenza in finale di Coppa Italia. Il Napoli farà …latte da tutte le parti. Come il suo sponsor e la orribile maglia con i rombi.

Il tecnico dal volto buono fu richiamato nel 2003-4 con gli azzurri in B e alla soglia del fallimento, in pratica fu lui a guidare l’ultimo Napoli prima dell’avvento di De Laurentiis. Presidente era Naldi, in attacco una coppia celebre ma spuntata, il fratello di Vieri e il figlio di Savoldi. Montesanto e Montervino, che andranno a comprare i palloni a Paestum da lì a qualche mese, formavano l’ossatura di centrocampo. Gigi prese il posto di Agostinelli in una delle stagioni più difficili del Napoli, basti pensare agli incidenti di Avellino, alle gare in campo neutro a Campobassso e ad una squadra mediocre. Riuscì, in tutti i casi, a portare il Napoli alla salvezza. Ma che tristezza, quel Napoli-Albinoleffe del 12 giugno 2004. Partita a reti inviolate e 82 paganti. Da noi il calcio sembrava essere finito. E non era certo colpa di Simoni.

(foto Archivio Morgera)

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