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Il Napoli si sta giocando lo scudetto, serve una comunicazione meno genuflessa alla Juventus

Il Napoli si sta giocando lo scudetto, serve una comunicazione meno genuflessa alla Juventus

“Non cercare alleati. Non mostrarti mite. Basati sui tuoi interessi. Intimorisci il tuo avversario. Così il paese nemico potrà essere conquistato e le sue città fortificate sottomesse”.

(Sun Tzu – “L’arte della guerra”)  

“A noi fa piacere essere la squadra che può tenere vivo l’interesse per questo campionato, ma è chiaro che se la Juventus continua su questi livelli noi non abbiamo opportunità”.

È una delle frasi pronunciate da Maurizio Sarri dopo Palermo-Napoli. Parole che confermano la linea comunicativa adottata dal tecnico azzurro fin dall’inizio del testa a testa con la Juve: provare a togliere pressione alla propria squadra trasferendo la responsabilità e l’ansia del successo tutte sui bianconeri. Del resto, anche le ripetute dichiarazioni dell’allenatore toscano sulla differenza di fatturato tra i due club vanno lette in quest’ottica. È una linea che però si sta dimostrando inefficace, fino a questo punto. La Juve è in testa al campionato praticamente da cinque anni, non soffre di vertigini, è un club abituato da sempre a vincere e non sembra patire minimamente l’ansia di dover centrare l’obiettivo a tutti i costi, fatturato o no.

Senza contare che la volontà di Sarri di tenere al riparo gli azzurri dallo stress e dalla tensione emotiva del duello tradisce scarsa fiducia nella squadra e nelle sue capacità di tenere i nervi saldi e, in definitiva, ne smaschera una debolezza.

Un limite, quello del gruppo azzurro, che probabilmente è reale, e che nessuno pretende si possa superare semplicemente con scelte comunicative azzeccate. E però il Napoli è a 3 punti dalla capolista: si sta giocando lo scudetto, che Sarri lo ammetta o no. Ora mancano otto giornate alla fine, la Juve comincia ad accusare qualche infortunio e l’occasione è talmente ghiotta che forse varrebbe la pena provarle proprio tutte.

Visto che sul campo i margini di miglioramento sono esigui (lo scontro diretto c’è già stato, ed è difficile anche matematicamente che il Napoli, praticamente perfetto fin qui a parte le prime tre giornate, possa far meglio di così), resta dunque da chiedersi se non sia il caso di tentare attraverso la comunicazione a innervosire e indebolire, i bianconeri e provare a batterli.

La storia del calcio, del resto, annovera molti episodi in cui la comunicazione ha influenzato in maniera diretta o indiretta ciò che poi sarebbe accaduto sul rettangolo di gioco. E anche sotto il Vesuvio lo abbiamo sperimentato in un caso che presenta vaghe analogie con la stagione in corso.

Siamo nel 1987-88: il Napoli comincia il campionato alla grande, dando spettacolo su tutti i campi, onorando il tricolore che porta sulla maglia. Sono i tempi di Maradona, Careca, Giordano, Carnevale, Bagni, De Napoli, Ferrara: forse il Napoli più forte di sempre.

Dietro gli azzurri a un certo punto inizia a carburare il Milan di Sacchi, un’altra compagine fenomenale destinata a rimanere negli annali. Il Milan inizia un lungo inseguimento sul Napoli giocando alla grande, con “zona” portata all’estremo, pressing alto, tagli degli attaccanti mutuati dal basket, fallo sistematico e altri ingredienti che oggi fanno parte del patrimonio tattico di ogni allenatore. Ma il Napoli è sempre avanti.

Per l’intero girone di ritorno, così, i vari Berlusconi, Sacchi, Stramaccioni, Virdis, Baresi prendono a ripetere come un mantra che il miglior calcio lo giocava comunque il Milan e che, addirittura, i vincitori “morali” di quel campionato sarebbero stati in ogni caso loro, i milanisti.

Il concetto viene ripetuto fino alla noia, alimentato dalla potentissima macchina comunicativa dell’allora Fininvest: il Napoli avrebbe anche potuto vincere quel campionato, ma non lo avrebbe certo meritato quanto il Milan. E, si badi, si sta parlando di un Napoli che nel 90 per cento delle partite dava spettacolo con i colpi dei suoi fuoriclasse, ma con il peccato capitale di giocare ancora “all’italiana”.

Eppure, nonostante Maradona, Careca e compagnia bella, probabilmente il dubbio s’insinua perfino nel team azzurro: nello scontro decisivo al San Paolo, il tecnico Ottavio Bianchi lascia in panca una punta, scegliendo di rinforzare la linea difensiva. Tutti ricordiamo come purtroppo finirà quel match.

Ora, qui non si sta affermando che il Milan vinse quello scudetto solo grazie alla comunicazione: quella di Sacchi era una grandissima squadra, rivoluzionaria, infarcita di campioni, e si trovò al cospetto di un Napoli stanco e dilaniato dal braccio di ferro tra tecnico e calciatori (in questa sede non ci si soffermerà sulle infinite dietrologie che ancora aleggiano sull’epilogo di quella stagione).

Ma la comunicazione costruì un “clima” attorno a quel duello che, da un certo punto in poi, contribuì a indirizzarne il risultato finale.

Tornando a oggi, ci sono allenatori, da Mourinho in giù, che hanno saputo fare della capacità di innervosire l’avversario un’arte. D’altra parte il discorso sul fatturato spesso funge da paravento più per gli allenatori che per i calciatori.

Forse anche il Napoli, dunque, e Sarri in particolare, potrebbero provare una comunicazione più spavalda e provocatoria capace di intimorire l’avversario, per non lasciare nulla di intentato e provare a minare le certezze della Juve.

Non è detto che funzioni, ma certo continuare a lodare i meriti di Bonucci e soci, dire ogni volta che sono i più forti o che addirittura fanno un altro sport, sembra infondere ai bianconeri tranquillità più che pressione o ansia.

Questa volta potremmo giocare noi a fare i vincitori morali.

Certo, dietro non abbiamo Fininvest e tre reti televisive.

Ma in fondo, come quel Milan, questo Napoli gioca il miglior calcio del campionato.

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