Inghilterra, Ungheria, Israele, Svizzera, Italia. La carriera del Paulo Sousa allenatore viaggia in questi posti qui, dal 2008, dopo una primordiale gavetta come tecnico federale in Portogallo. E se all’inizio qualcuno avrebbe potuto pensare che, più delle doti, Sousa andasse per il mondo sfruttando il nome noto da calciatore, ecco la smentita, ovvero la crescita di palmarés e blasone delle squadre allenate. Sousa diventa grande, insieme alle responsabilità che affronta e ai trofei che vince: l’esordio negativo in Championship (Leicester e Qpr), poi la Coppa di Lega ungherese col Videoton, il campionato israeliano vinto col Maccabi Tel-Aviv e poi quello svizzero col Basilea, nemmeno un anno fa.
L’inizio dell’avventura a Firenze è un po’ strano: c’è ovviamente curiosità per un tecnico neanche più giovanissimo (46 anni tra cinque mesi), ma in realtà prevalgono i sentimenti di contestazione verso la proprietà e poi anche verso lo stesso Sousa, “colpevole” del suo passato alla Juventus. Se le prime perplessità, quelle sui Della Valle, giungono fino a noi e a quest’ultimo terzo di stagione, i dubbi su Sousa si sono dissolti immediatamente. Con la forza dei risultati, certo, perché quella aiuta sempre. Ma pure, à la Sarri, attraverso i nuovi sentieri di campo battuti dalla sua squadra, che dall’ossessione per il gioco posizionale di Montella è finita per diventare materiale elastico, in grado di proporre un calcio di controllo del pallone, ma orientato pure all’affondo verticale e non solo al possesso puro.
Del resto, chi scrive ha ancora negli occhi lo splendido scontro tra Napoli e Fiorentina all’andata: da una parte la squadra di Sarri, all’inizio del suo percorso di crescita e quindi ancora fresca dal punto di vista fisico e libera dal punto di vista mentale; dall’altra, invece, una squadra che riusciva ad evolversi all’interno della stessa partita, passando rapidamente da un gioco di scambi stretti alla ricerca della verticalizzazione profonda, magari a lanciare Kalinic. Da questa doppia faccia viola venne fuori il bellissimo gol del pareggio del croato, lanciato magistralmente da Ilicic con un tocco di prima a scavalcare la difesa. Il Napoli riuscì a vincere grazie alla forza d’urto dei suoi uomini offensivi, ma, insieme al Sassuolo di Di Francesco alla prima di ritorno, i viola sono stati la squadra che ha destato più impressione in una sfida giocata al San Paolo.
Da lì, sono cambiate alcune cose. La Fiorentina ha (leggermente) ridimensionato la sua classifica, ma non ha assolutamente cambiato né atteggiamento, né impostazione tattica. Che poi, più di impostazione, sarebbe più giusto parlare di principi di gioco, tanto è fluida la materia numerica degli schemi di Sousa: indifferentemente difesa a tre o a quattro, indifferentemente due punte o il centravanti classico con gli uomini di fantasia a supporto. La squadra viola ha saputo superare tutti i momenti di difficoltà e oggi si ritrova a cinque punti dal Napoli, quindi a sei dalla Juventus, e ha un’ottima occasione per provare a rientrare nella corsa per il titolo, o quantomerno in quella per il secondo posto. Sousa, nel frattempo, non ha ancora finito di sperimentare: l’invenzione di Bernardeschi come esterno completo, l’avvenuto rilancio in grande stile di Ilicic, il tentativo di recuperare il talento che Zarate ha disperso assecondando un carattere difficile. E poi, il lavoro di squadra: la Fiorentina, oggi, ha saputo evolversi e trasformarsi in squadra solida in difesa e comunque varia nella scelta della soluzione offensiva. Lo dicono i numeri, quelli del reparto arretrato (quarta miglior difesa, secondo minor numero di tiri subiti a partita dopo la Juve) e quelli dell’attacco (viola quarti per gol segnati, terzi per numero di occasioni creati). Lo dice la classifica, lo dicono pure i cinque risultati utili di fila. Nonostante la terribile notte di Londra, in Europa League, la Fiorentina è ancora una squadra in crescita. Proprio come il suo allenatore.