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Io, il Napoli e la Fiorentina, la città di Firenze e i momenti catartici

Io, il Napoli e la Fiorentina, la città di Firenze e i momenti catartici

Ci sono partite facilmente definibili come “classiche”. Vale a dire quelle che caratterizzano un campionato per il loro riproporsi ciclico da una stagione all’altra. Quelle in cui i destini delle due squadre, in qualche modo, risultano legati, e anche quando non lo sono finiscono per compiere percorsi se non paralleli almeno estremamente simili. Quelle che, vuoi o non vuoi, capitano spesso in momenti particolari che scrivono la storia. Nel mio caso, anche personale. E’ il caso delle sfide tra Fiorentina e Napoli.

Quasi per ogni tifoso azzurro, il primo accostamento alle gare coi viola è immediato: quella giocata al San Paolo il 10 maggio 1987 e finita 1-1 sancì il primo scudetto. Dal punto di vista dei miei ricordi, però, quella (purtroppo) non conta, non avendo il sottoscritto all’epoca ancora due anni. Ricordo bene invece quella dell’8 ottobre 1995, nel corso del mio primo campionato da tifoso. Alla sesta giornata, il Napoli, secondo in classifica alla pari con la Juve e a -1 dal Milan, riceve la Fiorentina in posticipo mentre le altre due si scontrano tra loro nel pomeriggio. Ma il sogno di un Napoli primatista va in frantumi: prima il Milan batte la Juve e va in fuga, poi, come se non bastasse, i viola espugnano Fuorigrotta con due reti nell’ultimo quarto d’ora.

Da lì prendo coscienza di una piccola, grande verità che mi accompagnerà per diverso tempo. E cioè che in campionato la partita con la Fiorentina è una di quelle con la quale è inutile stare a perderci tempo, ancor più che quelle con le altre grandi. Bene o male, alla fine le si prende sempre sonoramente. Specie in trasferta: 0-3 nella gara di ritorno della stagione 95-96, 0-3 l’anno dopo (col Napoli allenato da Simoni che ha trascorso le vacanze di Natale da secondo in classifica, ma in un’ora e mezza si ritrova sbattuto, anche per effetto degli altri risultati, addirittura al sesto posto, tanto per ribadire che aria tira) e 0-4 nell’anno dei 14 punti e della retrocessione in B. Persino quando vinciamo, all’ultima giornata del campionato 2000-01, è tutto inutile. Il successo esterno per 2-1 targato Amoruso ed Edmundo non evita la nuova retrocessione in B. E dire che a metà dei secondi tempi saremmo salvi. Poi sugli altri campi Verona, Lecce e Reggina ribaltano i match contro Perugia, Lazio e Milan, e buonanotte. Benché sia il 17 giugno, di colpo quel pomeriggio inizia a fare piuttosto freddo.

Firenze toglie, ma, a volte, restituisce. Lungo l’Arno darò in seguito il mio primo bacio. La squadra ha fatto di tutto per farsi odiare, la città la ricordo sempre con piacere. Proprio poco prima di un nuovo Napoli-Fiorentina, il 14 settembre 2008, un’altra storia d’amore invece finisce in malo modo. Per fortuna, prima Hamsik e poi Maggio ribaltano il gol di Mutu e mi risollevano il morale. L’anno dopo, scelgo quella partita per portare per la prima volta mia sorella al San Paolo. Non riuscendo, purtroppo, a insegnarle il valore fondamentale della scaramanzia nel calcio: sono da sempre abituato a entrare dallo stesso cancello in curva B, ma quella gelida sera di marzo del 2010 non c’è verso, abbiamo parcheggiato lontano e lei è stanca di camminare perciò si butta decisa sul primo varco a vista. Morale della favola, prima sconfitta casalinga stagionale: 1-3, con l’arbitro Banti che ne combina di ogni genere ai nostri danni, come sorvolare sull’abbattimento in area di Lavezzi lanciato a rete sull’1-0 per noi negando un rigore e un’espulsione sacrosanti. La prova dei fatti ha convinto anche mia sorella, da quel momento, a convertirsi al detto “non è vero ma ci credo”. Così come è vero, verissimo, quello che mi suggeriscono i sogni prima della finale di Coppa Italia di due anni fa: Lorenzo Insigne segnerà una doppietta. Detto, fatto. Sono andato anche a scommetterci su, peccato solo aver sbagliato di poco il risultato finale: 3-1 invece di 3-0.

E tra poco, un altro Fiorentina-Napoli. Un altro momento catartico. Più degli altri, forse. Perché stavolta c’è un “coso” da inseguire.

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