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Così il Napoli si è trasformato da bruco a farfalla: l’entusiasmo ritrovato e i limiti da superare

Così il Napoli si è trasformato da bruco a farfalla: l’entusiasmo ritrovato e i limiti da superare
Facciamo il punto. Un punto che sino a qualche settimana fa era per me solo un enorme interrogativo.
Mai come in questi mesi ho cambiato opinioni ed umori in lassi di tempo così brevi.
L’idea di Sarri non mi entusiasmava. Non per l’uomo di campo, ma per i dubbi che mi suscitavano la gestione di uno spogliatoio così importante, la gestione della pressione di una piazza tanto passionale ed esigente, l’essere giunto in serie A con quasi 60 primavere sulle spalle, di esservi approdato solo per un anno con l’Empoli, di non aver mai affrontato una competizione europea e di non aver mai affrontato un presidente come De Laurentiis. Ho pensato ad un ridimensionamento e il terrore di una empolizzazione cerebrale mi ha investito. Ho pensato che saremmo ritornati alla vecchia filosofia tanto desiderata dal nostro presidente: giovani e italiani da far crescere in casa. Ho pensato, memore della precedente campagna acquisti, e senza i soldi della Champions League, che avremmo ceduto per lo meno Higuain e Callejon per fare cassa. Ho pensato senza esprimerlo ad un anno di transizione.
Nonostante la permanenza dei big e la cessione di alcuni vecchi pesi, lo scetticismo per il nuovo allenatore è comunque aumentato non tanto quando ho visto la squadra giocare, ma quando l’ho sentito parlare: il suo distacco netto dal turn over e l’idea di adottare un modulo in cui molti giocatori avrebbero dovuto adattarsi ha allargato ed allungato il mio già grasso punto interrogativo.
Ritengo il “ci vuole tempo” tanto reclamizzato una sacrosanta verità. Qualsiasi nuovo allenatore ne avrebbe avuto bisogno, anche in una squadra già forte e in una piazza così importante. E a mio avviso nelle prime uscite non positive, lo schema c’entrava poco viste le condizioni generali precarie della rosa. Credo che con qualsiasi modulo e con qualsiasi calciatore impiegato, non avremmo avuto risultati e prestazioni tanto dissimili da quelli ottenuti. Di certo, la squadra ha giocato solo a sprazzi e barlumi di certezze nemmeno l’ombra.
Abbiamo sofferto per larghi tratti e perso a Sassuolo, abbiamo annaspato nella mezz’ora finale e rischiato di perdere con la Samp e abbiamo patito per un tempo intero contro l’Empoli. Qualcosa di buono si è visto, ma la sensazione che di lì a poco ci sarebbe stata una svolta, ammetto che non mi ha mai sfiorato. Anzi, con l’Empoli, rispetto alla precedente con la Samp, avevo notato passi indietro e non progressi. 
Il “ci vuole tempo” dopo Empoli ha iniziato a ronzarmi nella testa in maniera ancora più martellante, fino a convincermi, in seguito ad altre infelici dichiarazioni prima e dopo la gara, che ce ne sarebbe voluto troppo. Un processo lungo in cui la luce stentavo a credere che potesse intravedersi, mentre i desideri inattesi avrebbero finito di frantumare il poco spazio e il poco tempo concessogli.
“Una squadra col potenziale offensivo del Napoli, avrebbe solo bisogno di un po’ di equilibrio dalla cintola in giù e uomini in grado di innescarlo” questa la mia banale riflessione. Invece la difesa ha subìto due gol a partita, i 5 attaccanti hanno dato segni di insofferenza, coadiuvati dagli entourage, parenti ed affini e il mister, ai microfoni, ha continuato nervoso a punzecchiare i singoli, partendo dalle natiche pesanti di Albiol, continuando sull’adattamento quasi forzato di Insigne al ruolo dell’amato Saponara, fino a discutere il comprendonio dei difensori e chiarire che Ghoulam aveva evidenti limiti nel contenere gli avversari, dando così l’impressione che volesse togliersi un po’ di responsabilità dalle spalle per prestazioni così al di sotto delle nostre aspettative.
Poi, d’incanto, all’improvviso, i pezzi del puzzle hanno iniziato ad incastrarsi perfettamente quasi in contemporanea e le incertezze hanno lasciato campo al gioco e ai risultati. Il bruco si è trasformato in una farfalla nel giro di una notte ed ha iniziato a volare senza più arrestarsi. Il cambiamento nella sua testa, nella testa dei giocatori ha così prodotto anche una metamorfosi nella mia.
L’immagine di Reina che scalcia furioso il pallone nella porta dopo il gol di Pucciarelli è l’ultima che io ricordi con rabbia e delusione. 
Sono cambiati il modulo, la condizione fisica e soprattutto l’atteggiamento. La testa, appunto.
Fuori Maggio e spostamento dello spaesato Hysaj a destra.
Dentro Koulibaly al posto di Chiriches. A mio parere il franco senegalese è il vero crack di questo mutamento. Sarà un caso, ma con il suo fisico al centro della difesa abbiamo subìto solo una rete in 6 gare. Sarà un caso, ma da quando è impiegato stabilmente, non si sente più sparlare di Albiol.
Dentro Ghoulam a sinistra, senza mai più uscire, e miglioramento partita dopo partita fino alla bellissima di San Siro.
Dopo prestazioni non brillanti, si è finalmente rivisto l’Allan che tanto avevamo ammirato a Udine. Anzi, ha tirato fuori potenzialità inattese: recupera palloni come pochi, certo, ma anche assist e piedi educati per la costruzione del gioco, ottima protezione del pallone e perfino grande tempismo negli inserimenti che gli hanno permesso di realizzare già 3 reti.
A proposito di punti, se Koulibaly rappresenta il punto di rottura dal vecchio al nuovo, con Allan, a mio avviso, Jorginho rappresenta il punto di rottura tra il brutto e il bello. Fuori Valdifiori, ancora troppo compassato e “nascosto” e dentro l’italobrasiliano. Per anni ho agognato un centrocampo in cui quantità, qualità e dinamismo potessero mescolarsi per dare equilibrio difensivo e manforte al nostro attacco atomico. Con Jorginho in cabina di regia, che fino allo scorso anno aveva stentato dandomi l’idea di una necessaria cura ricostituente, la squadra ne ha beneficiato in toto. Chi gli è accanto ne giova e Hamsik è il primo della lista. 
Hamsik forse è stato il migliore quando la squadra ancora camminava. Oggi gioca molto più lontano dalla porta, ma è sicuramente più vivo. Tocca molti più palloni, nonostante sia stato determinante solo nel gol d’apertura a Sassuolo. Ma è fondamentale, con le sue caratteristiche, nella miscela del nostro centrocampo.
Stessa considerazione per Callejon che rispetto ad Insigne è l’attaccante che dà più equilibrio. Non è più costante la sua propulsione offensiva e non va al tiro come prima, ma quando non gioca si sente. Sicuramente meglio esterno che seconda punta.
Insigne invece è esploso. Già con la Juve aveva dato questo tipo di segnale, a San Siro si è invece consacrato. A Milano l’ho visto per la prima volta completamente dedito alla squadra. Solo un tiro da lontano di quelli che irritano, ma un assist, due reti e tanto lavoro sporco. Adattato alla Saponara non stava facendo male, ma tornato tra le sue amate zolle stiamo ammirando un altro giocatore.
Su Higuain non ho molto da aggiungere. Per l’argentino i moduli e i compagni non fanno differenza. Se è sereno, la differenza la fa lui che siano 10 o 90 minuti.
Penalizzati da questi cambiamenti, purtroppo per loro, Gabbiadini ed El Kaddouri. L’italiano è passato da potenziale titolare come seconda punta a vice Higuain, il marocchino invece è rimasto perché aveva impressionato in estate come trequartista, ruolo che attualmente manca.
Martens è il dodicesimo titolare. Il primo cambio in partita o il più utilizzato quando non giocano Insigne o Callejon. Io lo preferisco sempre a gara in corso, quando gli avversari sono più stanchi e lui è tremendo con i suoi dribbling secchi. Ad oggi, ma anche in passato, non riesce a rendere allo stesso modo di quando inizia titolare.
Ho sentito, sia per Gabbiadini che per il belga, che a gennaio potrebbero andar via perché non utilizzati come speravano. Per me sarebbe una doppia fesseria.
Il prossimo banco di prova ci darà ulteriori segnali. Se fino a ieri, dal Nord, si è sminuito il nostro valore per le incapacità, il momento negativo e i tanti infortuni dei nostri avversari, la Fiorentina capolista rappresenta la squadra più continua ed equilibrata del campionato e quindi scevra da qualsiasi alibi.
Il mio scetticismo è evaporato, e il punto interrogativo via via si sta raddrizzando, ma più che la Fiorentina, test importante, la piena svolta dell’era Sarri ci sarà quando riusciremo a vincere contro le squadre che si difendono con 10 uomini nella propria area di rigore: un tallone di Achille che ci portiamo dietro da quando siamo tornati in serie A fino alla partita col Carpi. Un paio di lustri. Nonostante tutto, ad oggi, non siamo ancora riusciti a superare ed abbiamo giocato abbastanza male contro questo tipo di formazioni. La vera svolta ci sarà quando finalmente saremo in grado di avere continuità. Non tanto nel gioco, ma nei risultati. Ci sarà quando gli uomini migliori tireranno il fiato e la squadra non avrà la stessa brillantezza di queste ultime partite e noi continueremo ad avere lo stesso atteggiamento, la stessa testa. Oggi giochiamo (a mille) con 12 titolarissimi e questa è la nostra arma consolidata, ma il salto di qualità lo si raggiungerà quando ciò non rappresenterà più l’atavico limite.
In Europa League, che ritengo sempre una risorsa a differenza della Champions che ti spreme ulteriormente i migliori, il turn over ha fatto la differenza. Abbiamo scelto formazioni rivoluzionate ed abbiamo avuto la meglio anche perché le avversarie tendono a giocare e non costruire bunker, così come in Italia, con le formazioni “aperte”, abbiamo dato il meglio. 
Ora che tutto è mutato in positivo, le vere incognite restano sempre le stesse: le piccole che si chiuderanno a riccio e il reale valore della panchina.
Mertens e Gabbiadini, per motivi diversi, sono indispensabili propria in questa ottica. Il primo è l’unico in rosa a saltare l’uomo e creare la superiorità numerica, mentre il secondo potrebbe essere decisivo in quelle partite bloccate e senza spazi, con una punizione, un tiro da lontano o un calcio d’angolo teso.
Infine, un’ultima inutile riflessione, di cui conosciamo la risposta: Zuniga penso che non lo rivedremo mai più, se non su Instagram, ma, a proposito di panchina, essendoci un buco nella rosa a centrocampo, fino a gennaio, non sarebbe il caso di reintegrare De Guzman?
Domenica ritornerà anche il grande pubblico, il segno indiscutibile che questa squadra merita. La grande vittoria di Sarri l’ha conquistata sul campo e non con la retorica estiva del pane e sudore, ma con le idee e l’intelligenza, riconsegnando un entusiasmo ed un’allegria perduti, riuscendo finanche nell’impresa di farmi cambiare opinione e di rompere i miei pregiudizi. Cosa che da queste parti è più unica che rara. E mentre sogno una classifica che si accorci, penso al mio punto interrogativo pigro ed inetto, nella speranza che si trasformi, quanto prima, definitivamente in un punto esclamativo.
Gianluigi Trapani
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