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Napoli-Lazio, la tredicesima partita di Saba. Spalla a spalla, sempre

Napoli-Lazio, la tredicesima partita di Saba. Spalla a spalla, sempre

Ho fatto le scuole medie all’Umberto Saba, un prefabbricato piccolo e incastrato tra Vico Acitillo e Via Ugo Gomez D’Ayala. È talmente piccolo che, all’epoca in cui ero iscritto, sembrò giusto a qualcuno dividerlo in due, così anche un’altra scuola media aveva sede nello stesso sgangherato pseudo edificio: la Fabio Filzi, un nome che per tantissimo tempo non mi ha detto niente, solo dopo vent’anni ho potuto scoprire, tra i monti di Trento, che Filzi fu un eroe della grande guerra. Di Saba la professoressa Gambetta ci aveva parlato: un poeta, semplice, con la pipa. 

È difficile smettere di fumare con tanti esempi illustri. 

Il passato conserva più misteri di quanti il futuro ci proponga, forse è solo una sensazione che nasce quando si provano a fare i conti, a tirare le somme, ma questo è quanto provo ora, esaminando l’accaduto e impaziente di riprendere. Forse, quindi, un po’ intrappolato tra i tempi.

Della Saba ricordo la copertina rosa del libro di quella materia dal nome misterioso: epica. Come Filzi, non ho mai saputo cosa fosse il termine epica per lunghissimo tempo e, quando lo sentivo pronunciare, ricordavo l’illustrazione del passo dell’Iliade in cui Achille ed Ettore si scontrano, quando l’acheo abbatte il morale del principe troiano assicurandogli che non ci potranno essere mai patti tra gli uomini e i leoni; il disegno racchiude in sé tutta l’angoscia e il fascino che restano inevitabilmente legati a quel periodo di vita che a un certo punto deve diventare un ricordo: Achille in assetto da guerra, uno stile strano, vaghe ma decise linee che formano un guerriero folle, forte, deciso e, non so perché e da dove mi venne questa idea, sudato sotto un sole terribile.

Saba era incatenato, invece, in un volume tremendamente pesante e di un blu molto più impegnativo che mi sembra si chiamasse “Giorno dopo giorno”; dare questo titolo a un libro così pesante, può essere scoraggiante per un tredicenne. 

Fortuna che Saba era leggero come il fumo della sua pipa.

Tredicesima partita (Umberto Saba)

Sui gradini un manipolo sparuto

si riscaldava di sé stesso.

E quando

– smisurata raggiera – il sole spense

dietro una casa il suo barbaglio, il campo

schiarì il presentimento della notte.

Correvano su e giù le maglie rosse,

le maglie bianche, in una luce d’una

strana iridata trasparenza. Il vento

deviava il pallone, la Fortuna

si rimetteva agli occhi la benda.

Piaceva

essere così pochi intirizziti

uniti,

come ultimi uomini su un monte,

a guardare di là l’ultima gara.

(da “Il canzoniere” – vol. III, “Parole” 1933-34)

Ultimi su un monte, continuiamo a dire che c’è stato qualcosa di importante e che sarà difficile reggere e continuare a migliorare; il campo schiarisce il presentimento della notte. Eppure ho voglia di remare ancora e ridurre i conti col passato a una serie di immagini dai lineamenti sbiaditi che, nonostante la loro incertezza, mi riportano maree grosse e dense di sensazioni.

I nomi vanno e vengono, cambiano le pipe, le sigarette, gli edifici si sciolgono dai loro incastri o soffocano tra alcuni più nuovi, eppure qualcosa resta a sostenerci, qualcosa che eroi selvaggi dell’epica, eroi di guerre vere, poeti e calciatori continuano a far vibrare come un palo scosso da una pallonata, che nel particolare non è niente di più che questo, ma allontanandosi un po’ si capisce che è stata un’occasione persa.

Gli ultimi due anni fanno parte di quella marea che mi sosterrà, lo sento già e ho voglia di remare e sapere cosa accadrà. So che essere gli ultimi su quel monte può dare ben poco onore, forse può significare anche essere nell’errore, chi lo sa. Ma non è l’onore che cerco, ma quello che Saba scrisse nella tredicesima partita, quella che ho visto io ieri, l’ultima. 

Ce ne saranno altre e, guardando di là l’ultima gara, a sostenerci ci sarà quello che scrisse un altro grande Italiano, nel suo libro “El especialista de Barcelona”, Aldo Busi: 

Qual è il cuore del suo tempo? Qual è il cuore di una vita? In un evento, in un amore, in una nascita, in un successo, in un lutto? Ma no! Nella sua inavvertita preparazione inafferrabile e nel suo farsi, e subito dopo nella separazione che ne segue, oblio compreso.

Preferisco concludere l’anno tra due citazioni, forse nell’inconscio tentativo di chiedere sostegno a qualcuno di illustre, forse cercando le mie ragioni tra chi le seppe dire meglio di me. Forse questo significa essere un po’ sconfitti ma, attaccatemi se volete, io conosco il valore di questa sconfitta.

Ho amato questa squadra e il suo Mister e il mio cuore ci sarà anche nella separazione e nell’oblio, perché così deve essere. 

Qui si concludono i miei conti.

Spalla a spalla, sempre.

E grazie.
Andrea Virgilio

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