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Doyen e Mendes, i fondi d’investimento del calcio sbarcano in serie A. E non è un bene

Doyen e Mendes, i fondi d’investimento del calcio sbarcano in serie A. E non è un bene

Da oltre vent’anni siamo stati abituati nelle trattative di mercato per calciatori sudamericani a trovare spesso coinvolte terze parti oltre alle società (quella che vende e quella che compra) e al calciatore. Spesso accadeva che una terza parte (spesso era il procuratore del calciatore) possedesse una quota percentuale dei diritti sportivi del calciatore, come se questi fossero le azioni di una società.

Le società calcistiche sudamericane, che non brillano per trasparenza e che sono spesso a corto di liquidità, hanno sempre manifestato una certa flessibilità a concedere queste percentuali di proprietà in cambio di contanti immediati per la gestione corrente. Il meccanismo appariva semplice e innocuo, perché al momento della successiva vendita del calciatore sarebbe stata corrisposta all’investitore una quota dell’incasso dalla cessione in rapporto alla percentuale acquistata inizialmente.

Ovviamente, tutto questo meccanismo funziona se il giocatore Tizio (non lo chiamiamo Caio perché in Brasile è un nome diffuso e non vogliamo dar luogo a fraintendimenti) vede il suo valore crescere dal momento in cui viene fatto l’investimento a quello in cui viene ceduto. Ad esempio, se il giocatore è stimato in principio 3 milioni di euro, per generare un ricavo accettabile nel giro di un anno (al massimo due) deve essere venduto almeno a 7-8 milioni o più.

Questo però pone delle problematiche. Come si fa ad essere certi che il valore di Tizio cresca? Non c’è garanzia che diventerà un crack e non è detto che riesca ad emergere nel mare magnum del calcio sudamericano. Naturalmente il valore del giocatore aumenta se gioca più partite in club di grande spessore, se magari vince pure qualche competizione nazionale/internazionale, ma questo non sempre è possibile nei club brasiliani ed argentini.

Così negli anni l’interesse di questi investitori si è spostato dapprima in Portogallo, la porta europea per tanti sudamericani, e poi in Spagna. Nella penisola iberica sono molti i club con finanze precarie, per i quali trovare investitori che portino denaro fresco non è certo una cattiva notizia. Non sfugge a nessuno il dettaglio che il massimo guadagno viene generato dalle operazioni riguardanti giocatori di grande qualità che, valutati al giusto prezzo in Sudamerica, vengono poi portati in Europa in club “amici” e messi in vetrina. Trattandosi di ottimi calciatori non ci vuol molto per fare in modo che il prezzo si alzi generando enormi plusvalenze che però finiscono solo in minima parte nelle casse dei club.

Fin qui sembra essere dipinto un quadro idilliaco, i club possono schierare calciatori forti pagando loro solo lo stipendio, i fondi incassano le plusvalenze e tutti sembrano felici ma non è tutto oro quello che luccica.

Se questo business si limitasse al commercio di calciatori forti, ovviamente il caso si ridurrebbe a due o tre operazioni l’anno, ma chi investe in queste società o fondi non lo fa per tenere i soldi in parcheggio, quanto per averne un ritorno economico costante e crescente. Per arrivare a ciò è necessario che il volume delle operazioni sia infinitamente maggiore e dunque il mercato non può limitarsi ai soli giocatori forti, ma deve estendersi anche a quelli buoni, medi e pure mediocri. E qui cominciano le grane, perché se col giocatore forte c’è un beneficio almeno sportivo per il club, col giocatore di medio livello o peggio, quale beneficio c’è? Ci si trova di fatto a dover generare una bolla speculativa su questo o quel calciatore per aumentarne il prezzo ben oltre il reale valore, garantendo la remunerazione all’investitore finanziario.

Ma non è tutto. Dovendo tutelare i capitali, nel corso degli anni si sono manifestati veri e propri rischi di ingerenza da parte degli investitori nella gestione tecnica del club. Un esempio? Se il giocatore Tizio è al 50% dell’investitore privato, quest’ultimo vorrà che Tizio giochi il più possibile anche se magari in squadra c’è qualcuno più bravo in quel ruolo. Queste situazioni hanno generato conflitti di vario genere all’interno dei club e portato la questione all’attenzione della Fifa che, dopo lungo tergiversare, nel dicembre scorso ha emanato il divieto di esistenza delle Tpo (Third-Party Ownership) nel calcio a partire dal 1° maggio 2015.

Il Corriere della Sera riporta: “una ricerca del Cies (Centre International d’Etude du Sport) ha rilevato che nel 2013 i trasferimenti nel mondo in cui sono coinvolte Tpo hanno generato un importo pari a 359,52 milioni di dollari, cioè il 9,68% del totale. Secondo un rapporto redatto dalla Kpmg per conto dell’European club association (Eca), in Europa investitori privati possiedono partecipazioni in ben 1.100 giocatori per un valore di 1,1 miliardi di euro, il 5,7% dei trasferimenti europei”. 

Ovvio che con tanti soldi in ballo non c’è voluto molto tempo a trovare il modo di aggirare il divieto e oggi i fondi non possiedono più diritti sportivi (in toto o in parte) dei calciatori ma si limitano ad erogare credito, a finanziare i club come se fossero delle banche ad un certo tasso d’interesse, per ottenere poi la restituzione dei finanziamenti in contanti o più spesso con percentuali di ricavo dalla cessione di Tizio o di qualche suo compagno di squadra.

Questi argomenti, noti agli addetti ai lavori più attenti, sono diventati di larga attualità in Italia con l’accordo di cessione di quote del Milan alla cordata guidata da Bee Taechaubol che ha come suo consulente tecnico proprio Doyen Sports una società di investimenti sportivi, celebre per aver finanziato in passato gli acquisti di giocatori come Radamel Falcao, Kondogbia, Marcos Rojo e tanti altri. È stato precisato che Doyen non entrerà nel capitale del Milan ma che sarà di supporto alle attività di ricerca giocatori e scouting e a questo punto una domanda sorge spontanea: c’era bisogno di un consulente per scoprire l’esistenza di Jackson Martinez, Kondogbia o Miranda (tutti calciatori accostati ai rossoneri in queste settimane)?

Tra le altre cose proprio in questi giorni sono iniziate le audizioni presso il Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport) di Losanna per il caso che vede lo Sporting Lisbona contrapposto a Doyen per la cessione di Rojo dallo Sporting al Manchester United.

Il club lusitano, il cui precedente management aveva lavorato con il fondo d’investimento, accusa la controparte di aver forzato la mano sulla cessione del calciatore argentino causando una vendita a un prezzo inferiore e quindi un danno economico al club. Per questa ragione avrebbe corrisposto al fondo solo 3 milioni (corrispondenti all’investimento iniziale finanziato) rispetto al totale di 20 incassati. La Doyen, dal canto suo, protesta di aver diritto a ben 16 dei 20 milioni ricavati dalla vendita, in proporzione percentuale alla quota finanziata inizialmente. Notevole l’elenco di testi chiamati da Doyen a supportare la propria onorabilità, dal presidente del Porto Pinto da Costa, ad alcuni ex dirigenti dello Sporting, da Florentino Perez del Real ad Adriano Galliani, da Gil Marin dell’Atletico Madrid a Monchi direttore sportivo del Siviglia.

Nelle ultime settimane si è registrato poi a Firenze l’arrivo di Pedro Pereira, giovanissimo dirigente portoghese proveniente dallo Sporting Braga, club che vanta rapporti di lunga collaborazione con il manager Jorge Mendes (ed alcune società di investimento ad esso collegate come ad esempio Quality Sports Investments, di cui hanno scritto il Guardian e la BBC). A proposito di Mendes vale la pena raccontare l’ultimo colpo messo a segno come consulente del proprietario del Valencia Peter Lim e raccontato dal quotidiano spagnolo El Mundo nell’articolo “Rodrigo Caio, un acquisto senza consenso. Dopo una riunione del presidente esecutivo Salvo e del direttore sportivo Rufete con l’allenatore Nuno Espirito Santo, viene stabilito che i due dirigenti andranno a Marsiglia per trattare l’acquisto dell’ottimo giovane mediano Imbula (trattato anche da Inter e Milan) con il quale c’è già un’intesa di massima. Mentre i due dirigenti sono in Francia, l’allenatore chiama il proprietario del club chiedendo un altro giocatore tale Rodrigo Caio del San Paolo (valutazione Transfermarkt: 2 milioni di euro), e dopo una consultazione di Lim con Mendes viene chiuso l’acquisto del brasiliano per la modica cifra di 12,5 milioni più altri 4 di bonus. El Mundo riporta che il calciatore è della “factorìa Mendes” e giova ricordare che Mendes, oltre ad essere consulente di Lim, è anche procuratore dell’allenatore Nuno Espirito Santo. Una situazione non proprio lineare dal punto di vista dei potenziali conflitti di interesse. Si consideri pure che il Valencia ha negli ultimi mesi speso una considerevole quantità di denaro per calciatori le cui valutazioni, rapportate ai rispettivi curriculum, sembrano quanto meno generose (fonte Transfermarkt: Enzo Perez centrocampista 25M a 29 anni, Rodrigo attaccante 30M per 4 gol e 5 assist, Cancelo terzino 15M per 500 minuti giocati, André Gomes centrocampista 15M preso in prestito dal Benfica quando valeva appena 5M). Certo, è possibile che il Valencia riesca a vincere la Liga con il loro aiuto, oppure a ricavarne grandi plusvalenze da cessioni successive (un po’ difficile viste le valutazioni già così alte), ma per ora l’affare non sembra averlo fatto certo il club spagnolo.

Finora la Serie A è sempre stata piuttosto marginale rispetto a queste vicende, ci sono stati nel corso degli anni affari che hanno coinvolto procuratori proprietari di parte dei calciatori trattati, ma si può dire che l’Italia è sempre stata fuori dal giro grosso degli affari di questo genere. Tuttavia non si può sottovalutare la situazione finanziaria attuale di molti club che si trovano a dover essere competitivi senza però averne le risorse, uno scenario che apre la strada all’eventuale sbarco anche in Italia dei fondi ed ai rischi che questo comporta in termini di sostenibilità finanziaria dei club.
Andrea Iovene
(dall’alto: mister Bee, Jorge Mendes e Pedro Pereira)

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