ilNapolista

Mettersi lo zaino in spalla e fare l’interrail è facile, ma sapere di non poter disfare la valigia è cosa molto diversa

Mettersi lo zaino in spalla e fare l’interrail è facile, ma sapere di non poter disfare la valigia è cosa molto diversa

Chi gioca è serio, segue regole spietate che non si possono violare, pena lo scivolare verso lo scherzo, affare da poveri di spirito. Si vive in uno stato eccitato e si vibra come elettroni in preda a fantastici deliri. 

Osservo la cartina della Russia e mi sembra di vedere un cetaceo con le fauci spalancate verso il Giappone e una pinna caudale alla moscovita; stando a Melville, i colpi di coda di una balena sono temibili. Dopo la capocciata alla Torre dei Lamberti, ci siamo voltati in preda alle vertigini, solo per scoprire che il mondo è costellato di torri e che la prossima sarebbe stata quella di Ostankino, una stalagmite sollevata dal gocciolio di cemento armato che ha esaurito l’Urss. 

Avevamo il tre a uno casalingo a farci da bussola, potevamo aggirare la torre moscovita con serenità, ma io comunque temevo i colpi di coda.

La Dinamo terrà fede al suo nome: un gruppo di stacanovisti sgraziati, trattori, diesel senza guizzi. Noi siamo stati superiori, e lo siamo stati in un campo che ci è apparso spesso estraneo, quello della personalità. La partita andava gestita e così è stato, il passaggio ai quarti ce lo siamo guadagnati; la difesa ha retto il passo della samba nera, non si è persa tra le altezze vertiginose di un paio di spilungoni, la bussola ci ha guidati attorno alla torre. 

L’attacco nostrano ha sbagliato sempre l’ultimo passo di danza, invece, e qualche lezione di tarantella azzurra, o di tango, fate un po’ voi, pare sia necessaria, giusto per rinfrescare la memoria.

Il mio gioco, come tutti i giochi seri, deve trovare uno squarcio di realtà su cui atterrare, per non mantenersi sulla planata psicotica; una partita di per sé è uno scenario da letteratura, servono le dichiarazioni del giorno dopo per definire i limiti del campo d’atterraggio. 

Quelle del Mister e del Capitano mi soddisfano. 

Benitez dice che in Italia le squadre si preparano a fronteggiare gli avversari, invece lui vuole personalità, un’idea di gioco da celebrare, sostenuta da concentrazione e volontà. Leonida gonfiò il petto contro Serse, si preparò all’urto e noi gliene siamo grati; ma Rafa deve aver gradito Omero alla storia ed è una fortuna per una squadra che si ripresenta in Europa; lui è più alla Ulisse contro Polifemo, così abbiamo atteso, rinfrescato le forze con i giusti cambi e, anche se senza bellezza, abbiamo avuto ragione su chi non conosceva l’era di Diego, e ora navighiamo verso i quarti, benedetti da queste parole: “Nessuno mi ha accecato”. 

Non c’erano giganti in campo, solo spilungoni, come ho detto. L’unico titano era il tempo, ma le batterie di Albiol, Britos, Ghoulam, Jorginho e David Lopez sono quelle del coniglio di una vecchia pubblicità: durano di più. 

Il Capitano, da parte sua, ha detto che la partita è stata gestita così come l’avevano preparata; mettersi lo zaino in spalla e fare l’interrail è facile e ti lascia qualche diario simpatico, ma sapere di non poter disfare la valigia è cosa molto diversa, e gli azzurri pare lo sappiano fare. Ed era questo quello che volevo, che non si buttasse tutto all’aria, che fossimo in grado di crescere, costruirci una reputazione e una storia. Secondo me il Napoli è questo tipo di squadra oggi, con un certo spessore. Ha un peso. Magari anche a causa di qualche chilo di troppo sulla panchina.

Salutatemi Mauro, e spiegategli il turnover, mi raccomando.

Questa volta possiamo guardare avanti senza vertigini e incertezze, perché la storia non finisce qui: sullo stemma della città di Wolsburg, sede della Volkswagen, c’è un castello con ben due torri, l’affare si complica.

Da noi ce ne è uno Maschio di castello, ispiriamoci.
Andrea Virgilio

ilnapolista © riproduzione riservata