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Sconcerti sul perché gli imprenditori non investono più nel calcio (e nessun pubblico capisce gli sforzi dei presidenti)

Sconcerti sul perché gli imprenditori non investono più nel calcio (e nessun pubblico capisce gli sforzi dei presidenti)

C’è un problema nel calcio italiano che negli altri Paesi hanno risolto grazie a sceicchi e petrolieri: da noi il calcio ha smesso di essere il divertimento degli imprenditori. Manca chi lo finanzia. E chi lo fa ancora, insiste su una grande attenzione al bilancio. Ormai tutto il movimento si regge sui diritti televisivi e sugli sponsor, siamo passati con grande fretta dal mecenatismo più entusiasta (pensate a Tanzi, Cecchi Gori, Cragnotti, gli stessi Moratti e Berlusconi giovani) alla ricerca del guadagno. Si è rovesciato il mondo, non potevano non rovesciarsi anche i risultati.

Non siamo stati mai più bravi degli altri, non abbiamo mai avuto un modello da esportare. Spendevamo semplicemente tanti soldi in più, sceglievamo i giocatori migliori. Poi sono arrivati altri ricchi che hanno alzato dieci volte la posta e a noi non è rimasto che lasciare il tavolo. Sono fallite un centinaio di società professionistiche quasi nel disinteresse generale perché il nucleo del sentimento resisteva, le grandi società non erano toccate. Ora Milano ha ceduto l’Inter e Berlusconi pensa inevitabilmente a cedere il Milan. Il Bologna è di un canadese, la Roma di un americano. Senza Tanzi, Parma si accorge che la serie A è un lusso.

Resta la domanda iniziale: perché oggi gli imprenditori non mettono più soldi nel calcio? Perché detestano l’attenzione che il calcio porta, la selezione avviene nel silenzio come i migliori affari. Perché i costi del calcio, per chi vuole provare a vincere, sono sempre più alti, perché gli stipendi dei calciatori mangiano tutto e il resto del business è una scommessa: chi arriva secondo ha speso quanto chi è arrivato primo, ma ha perso tutto. Perché il calcio è diventato un problema sociale, produce incidenti, rancori, malavita, difficile venderlo come un prodotto buono. Perché anche in un momento in cui tutti capiamo l’importanza dei soldi, non c’è pubblico che abbia coscienza dello sforzo economico di un presidente. Deve sempre spendere di più. Il Milan ha 256 milioni di debiti e una gestione quasi in pareggio: come può recuperare? L’Inter non sta meglio, per la prima volta è stata data come garanzia alle banche per lo spostamento del suo debito. Manca dovunque chi abbia voglia di metterci i soldi. Ma la domanda nuova è: in cambio di cosa?
Mario Sconcerti (tratto dal Corriere della sera)

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