ilNapolista

Io, napolista emigrato a Torino, vi racconto la lobby juventina e vi dico che solo il modello De Laurentiis (leggi business) può sconfiggerla

La lobby dei tifosi napolisti non esiste, invece quella degli juventini sì, osserva Vittorio Zambardino. Fosse solo questo, il problema.

Un napolista emigrato da anni tra Torino e Roma può provare a fornire qualche indizio per un’ulteriore riflessione sul tema, nulla più (le prove in questa materia, per definizione, non esistono), nella lunga vigilia della partita del Napoli a Torino.Certo, i giornalisti juventini esibiscono sempre con qualche iattanza una potente inclinazione all’autocompiacimento quando vincono e al “non mi interesso più tanto di calcio” quando perdono, fenomeno riscontrabile anche oggi nei grandi  giornali, ma in questo sono puro specchio dei loro tifosi. E’ un po’ come nel memorabile adagio veltroniano, “er sindaco”, uno dei pochi romani a dichiararsi sinceramente juventino salvo poi, negli anni grami, scoprire che il calcio era diventato un’industria, neanche tanto trasparente, e “da un po’ è il basket lo sport che mi appassiona, se dovessi indicare un italiano direi Andrea Bargnani”. Ecco, è da Veltroni che bisogna partire per fissare un punto: gli opinionisti juventini sono come lui, dei buoni-mannari, esultanti sul carro che vince, dileguantisi se il carro perde, a volte aggressivi se il carro viene colpito da qualche sanzione. L’opinionista tifoso del Napoli lo è con convinzione; l’opinionista tifoso della Juve, weberianamente, con responsabilità. Se si ritira dalla scena, è tatticamente; come “er sindaco”. Poi sì, si fanno sentire, i giornalisti juventini, ma anche noi scriviamo, esultiamo nei giornali, diciamo ampiamente la nostra, anche e magari soprattutto in partibus infidelium; il punto è un altro, allora.

La famiglia Agnelli ha di nuovo puntato, tanto, sul business-Juventus, ma non solo. La crescita finanziaria di Exor procede di pari passo con la valorizzazione del titolo immateriale chiamato Juventus. Questo significa, superficialmente, il bellissimo stadio costruito e il cospicuo aumento di capitale, ma anche un rinnovato interesse per l’editoria a tutto campo. La Stampa, il 10 per cento – cioè la quota di maggioranza – nel vasto azionariato del Corriere, quindi la Gazzetta, sono permeati di juventinità non per le lobby dei loro giornalisti (tra parentesi: è vero che neanche importanti direttori o condirettori non juventini sono mai riusciti a scalfirla), ma perché riflettono questo spirito del tempo. Quella che abbiamo davanti è allora una juventinità carsica, legata stretta stretta all’andamento del business: se oggi pare sentirsi di più è, semplicemente, perché la Juve vince, e altri poteri declinano, non solo il berlusconismo. E questo anche se in quei giornali ci sono ovviamente tutte le voci, e tifosi di tutte le squadre, e nonostante i capi dello sport possano persino essere… del Toro.

Tutto si tiene, naturalmente, finché il gioco funziona: ma spostato su questo piano (finanziario-editorial-sportivo), l’equilibrio è assai delicato; oltretutto Torino è una città non meno difficile di Napoli, anche se per ragioni totalmente diverse. A Torino, con una Juve forte e uno stadio fichissimo, puoi anche vedere sugli spalti 28mila tifosi e basta alla prima di Champions in casa (immaginate le polemiche se fosse successo al San Paolo qualcosa di simile). E’ solo un esempio ma lascia intuire la zona dove i napolisti possono essere più forti, e battere il ferro: i punti critici del business-calcio avversario. Naturalmente le lobby giornalistiche poi possono combattersi tra loro – in realtà la lotta più feroce che ho visto in questi anni a Torino e Milano è tra lobby juventina e lobby interista, da questo punto di vista la lobby napolista fa bene a scartare, a non essere frontale ma farsi vascello corsaro –  ma il principio di determinazione, diciamo così, non muta. Umberto Zapelloni, nel tweet citato da Max Gallo, è dolcemente ironico sulla Juve, ma solo la Gazza può poi impacchettare un titolo così inzigatore verso il Napoli come quello all’intervista di Insigne su Cavani. Marco Ansaldo è tra i più bravi inviati di sport italiani oggi, e paradossalmente è sulla Stampa che si apprende la somma rivendicazione della volontà di potenza juventina: la Juve che suggerisce i piani degli allenamenti separati a Prandelli. Un segnale di grande forza, oltretutto esibito col sottotono di chi semplicemente sta dando una notizia. Ma anche un di più di sfida che può risultare pericoloso.

Il gioco è in quel limite. Se lo cavalcano da copione, vincono; se il limite, per una qualche ragione, impercettibilmente, viene superato, ce la giochiamo. De Laurentiis, che spesso ho criticato per le scelte parche (leggi: tirchie), andrebbe su un punto essenziale sostenuto: con toni sbagliati e modi da dimenticare, coglie una questione, che la lotta del Napoli non può essere una lotta “proprietaria”, o “di lobby tra giornalisti napolisti”, o “di influenza”, che il suo sistema, e Napoli men che mai, non possiede; può essere solo una lotta “dei conti a posto”, la contrapposizione di un modello di business (sia pure assai sobrio, improntato quasi, si può dire?, all’autarchia) a un altro modello, scintillante e finanziarizzato. E’ una strada difficile, ma assai apprezzata, posso testimoniarlo, “all’estero”; consente tra l’altro di blindare il campione più invidiato dagli juventini (ovviamente Cavani, che poi, mi si perdonerà la bestemmia, è il meno napoletano dei napoletani, quello che sarebbe sposato con più gioia, anche come spot, dalla proprietà juventina). Permette di svestire i consueti panni del piagnonismo; fa della cessione Lavezzi un vero affare. Un uomo di lungo corso assai esperto di cose juventine mi ha detto qualche giorno fa: “Quella è una cessione che avrebbe fatto un espertissimo di calcio” (l’Innominato che vendette Zidane). Poi però De Laurentiis è contraddittorio quando si mette a lagnarsi con Prandelli, e se svestisse anche i panni dell’invettiva alla Mario Merola, ci aiuterebbe assai nell’impresa di sostenere Napoli.

Ecco, se usciamo più spesso da Napoli e ci facciamo un giro fuori, capiremo quali dei nostri luoghi comuni sono sbagliati, e quali – ma in che forma, magari più sottile – trovano una qualche eco nella realtà, per come sta cambiando. Solo così potremo passare dal più lobby per tutti al meno scudetti per i gobbi.
Jacopo Iacoboni

ilnapolista © riproduzione riservata