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Il Napoli è una squadra cinematografica: la prestazione dipende dal palcoscenico

Potrà sembrare bizzarro dirlo adesso, ma il Napoli di Mazzarri è una grande squadra (potenzialmente, e con qualche altro ritocco, spero presto). Ma è una squadra cinematografica, con i pregi e i limiti (notevoli) che questo comporta.

Cinematografica vuol dire che quegli undici (o dodici, o pochi più) si scaldano nelle passerelle, si emozionano nell’istante glorioso, si rivelano in certe circostanze veri e propri esteti dell’attimo – l’istante del ciak – ma non hanno ancora familiarità con la durata, non dominano la fatica – come diceva il grande Tony D’Amato, ossia Al Pacino allenatore di football in “Ogni Maledetta domenica” – di «vincere conquistando centimetro per centimetro, yard per yard», con pazienza, umiltà, domando squadre più deboli che non illuminano i palcoscenici, non costruiscono scenografie allettanti, non danno grande lustro a una vetrina.

In un certo senso significa che possiamo battere chiunque, Milan, Inter, o quasi, Manchester City, o reggere al Bayern. Questo senza lo spirito dato da Mazzarri ce lo sogneremmo. Ma anche che abbiamo la fragilità di Cenerentola, che può sempre perdere vedere la carrozza trasformarsi in zucca.

A voler pensar bene, siamo ancora inesperti, con limiti strutturali (vedi la panchina), un po’ immaturi e forse presuntuosi. A pensar male, che come diceva Andreotti ci si piglia sempre, il Napoli è vissuto a volte anche da chi ci sta dentro come un sontuoso autobus di lusso: un autobus che in questo momento percorre le strade luminose d’Europa, dove bastano tre, quattro, cinque grandi prestazioni – ai singoli – per poter magari conquistare allettantissime offerte l’anno prossimo. E lasciarci tutti qui, col fazzoletto in mano, a ripartire – stavolta non dalla serie c, ma dalla Cayenna dela metà classifica.

Al cinema tutto questo funziona. Funziona fare un orrido film di cassetta che ti mette a posto il bilancio di un anno (magari ti consente anche di girare tre-quattro film che non incassano tanto, ma sono migliori). A pallone è semplicemente insensato, non porta da nessuna parte la squadra, forse solo i singoli. Ecco, la squadra cinematografica può andar bene a molti, a tifosi volubili, a primedonne sul piede di partenza – necessitano di un palco più che di una vittoria – a procuratori cui non interessa altro che il gol dell’assistito in trasferta, meglio se a Londra, Manchester, Madrid; potrebbe andar bene persino al miglior allenatore italiano, cioè Walter Mazzarri, ma non può andar bene a chi è tifoso, per di più all’estero (figurati, a Torino, circondati da juventini illustri che ci invitano a prendere il tè come nella Donna della domenica di Fruttero e Lucentini).

Ah, dimenticavo: una squadra cinematografica a pensarci non può andar bene soprattutto al presidente Aurelio; se la squadra cinematografica si esibirà alla grande – ma sporadicamente – in qualche vetrina, lui avrà aggiustato alla grande un bilancio, ma non se lo comprerà nessuno l’anno che verrà.

Jacopo Iacoboni (inviato de La Stampa)

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