ilNapolista

O diventiamo piccoli azionisti o giocheremo sempre alle figurine Panini

L’articolo del Rettore sulla squadra che verrà interpreta un pensiero diffuso e ricorrente tra i tifosi della squadra azzurra,ma induce a considerazioni che travalicano l’argomento stesso.
E’ vero, alzi la mano chi in quella interminabile stagione che corre dalle ultime giornate del campionato alla fatidica data della chiusura della campagna acquisti non ha indugiato tra fantasticherie oniriche e ragionamenti strettamente tecnici a costruire a suo modo la squadra perfetta.Occorre però ammettere che alla fine tutte le chiacchiere stanno a zero, dal momento che dobbiamo amaramente constatare che tutti i nostri appassionati dibattiti in materia, talvolta di eccellente spessore tecnico, restano delle semplici fantasie ludiche che lasciano il vuoto pneumatico. In quanto l’opinione pubblica espressa dai tifosi, anche se rappresentata nelle sedi più autorevoli, non ha alcun peso nelle scelte societarie.
Questo discorso, naturalmente non vuole esser un invito a non parlare delle aspettative che coltiviamo sulla squadra che verrà, ma serve soltanto a constatare, se ve ne fosse bisogno, che il tifoso non ha alcuna legittimazione e nessun tipo di rappresentanza nell’ambito della propria società di appartenenza, costituendo secondo una orribile espressione normativa, utilizzata per la ripartizione di una quota dei diritti televisivi, soltanto il “bacino di utenza” di una compagine sportiva.
Eppure questo “bacino di utenza” non è un semplice dato numerico, è una splendida realtà umana, costituita da milioni di tifosi, che sublimano l’amore per la città nella metafora del calcio (almeno per noi napoletani) ed è proprio per questo che avrebbero pieno titolo a possedere la squadra e la società, di cui costituiscono l’anima e la fonte esclusiva dei ricavi.
La constatazione di questa assurda divaricazione tra i tifosi e la società è il punto di partenza ineludibile per arrivare all’unico obiettivo possibile che è quello della necessità del riconoscimento del diritto dei tifosi ad acquisire una propria legittimazione nel sistema societario del calcio professionistico.
Lo strumento per realizzare questo obiettivo, che implica anzitutto la necessità di una rivoluzione della impostazione culturale esistente, non è utopico, perché può essere individuato nella stessa evoluzione del modello normativo esistente, che caratterizza le società sportive professionistiche.
Come è noto, nella sua originaria formulazione il testo della legge sul professionismo sportivo (legge 23/3/1981 n.91) imponeva alle società la veste giuridica delle società per azioni o quella delle società a responsabilità limitata, con l’espressa previsione che non potevano perseguire uno scopo di lucro.
L’impostazione iniziale della legge, dopo aver subito vari cambiamenti, è stata definitivamente modificata con l’intervento della legge 18/11/1996 n.586, che ha riconosciuto alle società professionistiche la possibilità di perseguire uno scopo di lucro.
Questo mutamento dello scopo delle società sportive professionistiche è un segnale della volontà del legislatore di attribuire una maggiore flessibilità al modello delle società di calcio, utilizzabile per vari scopi, in quanto strutture di per sé neutre, alle quali può corrispondere sia una funzione lucrativa, ma anche funzioni finalizzate a scopi diversi ed eterogenei tra loro.
Posto dunque che il legislatore ha configurato un modello di società elastico, aperto a nuove interessanti prospettive, anche di carattere sociale, come dimostra la previsione che l’atto costitutivo deve prevedere che una quota parte degli utili, indipendentemente dalla fonte da cui provengono, non inferiore al dieci per cento, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico sportiva, non è giuridicamente scorretto ipotizzare che il futuro legislatore possa anzitutto scegliere, come mezzo al fine, la forma esclusiva della società per azioni per le compagini di calcio professionistico, secondo il modello generale disciplinato dal codice civile.E nello stesso tempo, nel solco di questa evoluzione normativa già intravista, aprire le società per azioni di calcio alla partecipazione popolare e, per l’effetto sancire l’obbligo delle società di riservare una quota minoritaria dei titoli azionari quotati in borsa, all’azionariato diffuso, cioè a bassa caratura, ma che consenta per la prima volta ai tifosi, piccoli azionisti di entrare, con pari dignità negli assetti societari.
L’obiettivo, attraverso lo strumento legislativo, non sembra impossibile, occorre soltanto credere fortemente nel progetto e a tal fine coagulare tutte le forze politiche disponibili, indipendentemente dagli steccati ideologici, affinché possano realizzare un necessario rinnovamento dell’ordinamento sportivo, riconoscendo una vera e propria legittimazione dei tifosi a diventare partecipi del sistema societario.
Peraltro siffatta innovazione, oltre a determinare sicuramente un miglioramento del grado di civiltà del tifoso azionista, darebbe alle società quotate in borsa la possibilità di raccogliere più facilmente capitali presso il mercato, riducendo il grado di asservimento alle televisioni commerciali sempre più crescente.
In conclusione, se questo discorso, nonostante la concretezza degli argomenti, può sembrare una favola, mi domando, senza essere irriverente nei confronti di chicchesia, che cosa ci resta altrimenti, se non quello di partecipare all’infinito ad una campagna acquisti virtuale giocando con la figurine Panini.
Antonio Patierno

ilnapolista © riproduzione riservata