Assente Cavani, il Matador delle triplette e dei record, mai aveva segnato così tanto come in questa annata azzurra, il doppio della media stagionale nel Palermo, tocca a Lavezzi farsi spazio a Bologna, aggiustare la mira, accendere il tric-trac del dribbling e puntare alla porta di Viviano, alto figlio fiorentino di Fiesole (1,95) approdato in nazionale nella Giovane Italia di Prandelli. Pocho, pensaci tu. Tocca la pistola tatuata sul fianco destro, il più scoppiettante dei venti tatuaggi che ti segnano il corpo, e fai fuoco. Quest’anno, segni fuori casa che è una bellezza. Sei avaro di gol a Fuorigrotta, appena uno, contro il Milan, la scucchiaiata sotto il naso di Abbiati, un numero da applausi, da foca con i tacchetti. Ma sei andato a bersaglio cinque volte fuori. A Cesena per avviare il trionfale 4-1. Decisivo a Brescia e a Cagliari (due vittorie per 1-0). A Bari per aprire il 2-0 rifinito da Cavani. A Parma per onorare il 3-1 fra il gol di Maggio e quello di Hamsik. E a Parma ti sei fermato, un mese fa. E, allora, caro ex apprendista elettricista nell’officina di tuo fratello a Villa Gobernador Gàlvez, riaccendi la luce. Il Pocho Lavezzi ci intriga e ci attizza, come dice la canzoncina di Luca Sepe. Meglio se scuote la rezza alzando la cabeza e provocando agli avversari la strizza. Pocho Lavezzi, giocatore di priezza, cardillo di tocchi e svolazzi, gambe di topazio, fianchi di finte e d’arrizzo, hai nei piedi la scarica di un razzo, ‘azz! Ondeggi, divaghi, svari, ti arresti, riparti, stai largo e stai nel mezzo, attaccante di destrezza, sei come un rap di CapaRezza. Facci sognare. Bologna ha dieci porte lungo i viali della circonvallazione, ma tu punta le porte del “Dall’Ara”. Quelle valgono, le porte dello stadio. Pirati siamo stati a Bologna, prima che tu nascessi, Pocho Lavezzi della provincia argentina di Santa Fé. Ora ti nomino, anno per anno, gli azzurri che incisero gol di vittorie a Bologna. Peppe Savoldi (1-0 nel 1977), un bergamasco musone che Ferlaino pagò due miliardi e che, alla sua prima partita al “San Paolo”, dovette tirare tre rigori per segnarne uno. Quella simpatica canaglia di Josè Altafini (2-1 con “doppietta” nel 1969, 1-0 gol risolutivo nel 1965). Avesse avuto voglia di rischiare caviglie, tibie e peroni sarebbe stato il più grande centravanti del mondo. Gigi Pogliana (2-1 nel 1967), un legnanese, terzino gentile con la faccia di bimbo che consumò tutta la sua carriera a Napoli in coppia con Nardin, con Ripari, con Bruscolotti. Juan Carlos Tacchi (2-0 nel 1960), uno degli argentini del nostro cuore, piccoletto e scattante all’ala sinistra, tutto dribbling e cross. Raddoppiò la rete iniziale di Gratton. Hasse Jeppson, lo svedese da 105 milioni negli anni Cinquanta con gossip di quei tempi dietro il gonnellino di una tennista: rifinì la doppietta iniziale di Giancarlo Vitali (3-1 nel 1954). I tre moschettieri a segno nel 1952 (3-1): petisso Pesaola, ancora Jeppson, Amadei il fornaretto dal piede-dinamite. Spazzolino Masoni (portava i capelli ritti in testa, una cresta d’antàn), Cecconi, Amadei e Mike nella quaterna del 1951 (4-1). L’albanese Naim Krieziu, un tarchiatello veloce all’ala sinistra, per l’1-0 del 1948. Ed Evaristo Barrera, argentino di stizza e di stazza, che decise il 2-1 del 1942. Quando tu avevi cinque anni, a Bologna folleggiarono Careca, Maradona, Francini, Alemao (4-2) e fu l’anno del secondo scudetto (1990). Nei tempi recenti, hanno fatto centri decisivi l’arciere siciliano Calaiò nel 3-2 del 2007 e il Tanque Denis (1-0 nel 2008). Gol che valevano vittorie. E tu, ora, Pocho Settebellezze, fermo a sei gol, facci la settima meraviglia. Gonfia la rete, dacci l’ebbrezza, Pocho d’allegrezza, a noi che teniamo ‘o core mpizzo mpizzo per un triangolo di pezza, caro Pocho Lavezzi. Mimmo Carratelli
Ode per Lavezzi: Pocho, fa tu!!!
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