ilNapolista

Casari, il portiere che diede la mano a Pio XII

Quando Napoli non era ancora soffocata dal traffico delle auto e quasi tutti si spostavano a piedi per strade e vicoli, molti giocatori azzurri avevano stanza in un tranquillo albergo vomerese, in via Bonito. Raggiungere lo stadio, per allenamenti e partite, era come una passeggiata. E spesso gli atleti scambiavano con i passanti sorrisi e parole. Accadeva anche che intorno a Monzeglio, l’allenatore, si formasse un capannello di tifosi. Domande e risposte. Un giorno, in piazza Vanvitelli, un signore gli disse: “E allora, quest’anno possiamo pensare allo scudetto?”. Anni ’50, il Napoli da poco uscito dalla B tornava al calcio maggiore. Monzeglio rispose con una previsione sbagliata e un’osservazione giusta. Osservò che il pubblico napoletano oscillava troppo tra entusiasmo e depressione. E perciò – concluse – lo scudetto resterà un sogno. Non fu una esatta profezia ma per dimostrarlo ci vollero anni. Dietro Monzeglio, alto e quadrato sorrideva un gigante dal volto buono: Bepi Casari, il portiere venuto dall’Atalanta. Scuoteva la testa, per dire che a quella strana sentenza non credeva. Presto divenne un beniamino del pubblico, con le sue parate spesso spettacolari, i suoi lunghi rinvii, lo scatto felino nonostante il fisico da granatiere. Maglia scura, ginocchiere bianche, guantoni d’ordinanza, pronto all’uscita sulle mischie in area. Da Bepi, diminutivo nordico di Giuseppe, divenne subito Peppe. E il nome napoletanizzato diventò a sua volta un urlo di incoraggiamento: “Oj Pè, fa’ tu…”. Prese quattro gol in casa dall’Inter di Nyers, Skoglund e Wilkes ma quella nerazzurra era una squadra-spettacolo. Molte altre volte fu determinante per salvare il risultato e il Napoli arrivò sesto. Giocò sotto il Vesuvio ancora due anni, e nel ’52-’53 gli azzurri conquistarono il quarto posto. In panchina ancora Monzeglio. Sempre seduto accanto a lui, sulla pista del Vomero, il comandante Lauro, presidente e padre-padrone. L’anno dopo tra i pali arrivò Bugatti, dalla Spal di Ferrara. Ma i tifosi non dimenticarono il buon Casari. Che un giorno fermò un tiro dello juventino Praest opponendogli… il fondo schiena e propiziando la vittoria azzurra in rimonta, 3 a 2. E un’altra volta, in visita con la squadra dal Papa in Vaticano, a Pio XII che gli si avvicinò porse la mano e disse: “Piacere, Casari”. di Mimmo Liguoro

ilnapolista © riproduzione riservata