Il nuovo stadio di Fuorigrotta, il San Paolo, faceva brontolare il resto d’Italia: «Non hanno gli occhi per piangere e si permettono il lusso di un Colosseo» . L’argomento andava a braccetto con l’altro che rimproverava l’acquisto sconsiderato del grande centravanti Jeppson (Gepsòn, in lingua locale), pagato l’enormità inaudita allora di cento milioni. Dopo di lui altri artisti della camera d’aria dentro il cuoio hanno acceso la scintilla breve dell’entusiasmo sportivo: Hamrin, Sivori, Altafini. É andata così fino alla buona sorte di arruolare il più spettacolare prestigiatore di calcio d’ogni tempo, uno dei pochi argentini, insieme all’eccelso scrittore J. L. Borges, a non avere origini italiane. Dopo Maradona la squadra meritò il declino necessario a sottolineare il trionfo precedente. Restano indimenticate le vittorie brevi, i primati agguantati e presto restituiti. Dal fondo del declino sono ancora più alti. La città nel frattempo è diventata adulta. Non ha più la pretesa di farsi rappresentare dalla squadra di calcio. Sono cose da basso marketing, buono per qualche ditta. Napoli città e Napoli squadra sono andati per piste spaiate. Sempre i suoi sono rimasti affezionati e leali inseguendo la squadra fino alla Serie C e costituendo il record di sostenitori in trasferta, per quella divisione. Ma la città non ha più voglia di coincidere con la sua squadra. Napoli oggi non appartiene più al sud, d’Italia e del mondo, per evidenza di semplici parametri. Non subisce più la più micidiale mortalità infantile d’Europa, corredata dal lavoro minorile per i sopravvissuti alla decimazione. Ha gli stessi morbi e virus del resto del nord, non più un suo colera casalingo. Non ha più l’emorragia dell’emigrazione che la rese milionaria di addii consumati sul molo Beverello. Ha invece oggi la stessa non censita quota di immigrati del resto d’Italia. Non ha più la servitù di città sbarco della Sesta Flotta degli Stati Uniti che la trasformava nel più grande bordello militare del Mediterraneo. Ha infine la stessa quantità di spazzatura di altre metropoli italiane, anche se raccolta in maniera differenziata nello spazio, qua sì e qua no, e differita nel tempo. É una città dell’area economica del nord, che si estende fino alla Scandinavia. La sua squadra di calcio emerge all’attenzione e ai risultati grazie a una buona formula: il valore d’insieme. Non dipende più dai guizzi funamboli del singolo dal piede di velluto ma dalla tenuta di carattere del gruppo. Costituiscono la bella pratica di un’alleanza e questa è la migliore novità in un campionato di squadre a forte componente individualista. L’intesa, il contratto emotivo tiene insieme i membri della formazione napoletana fino all’ultimo grano di clessidra del tempo di gioco. I punti ottenuti in fondo a una partita dipendono più dalla condivisione dello sforzo comune che dal talento e dalla preparazione atletica. Hanno stimolo a onorare l’impegno fino all’ultimo fischio. Così succede che le sconfitte non lasciano tossine. Ecco che di fronte a una città non più del sud c’è una squadra del sud, quella parte muscolare del pianeta che spinge più forte perché viene dal basso. La tiene insieme un uomo che ha la faccia più operaia di tutto il campionato, la più remota e opposta a quella snobbettina e schizzinosa di un Mourinho.
Erri de Luca (Gazzetta dello sport)
E’ il gruppo a fare l’impresa
di Erri De Luca
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