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Napolisti a L’Aquila

È il giorno del primo dei due big match ravvicinati. Penso: se vinciamo con Inter e Juve, ci spianiamo la strada per lo scudetto e sotterriamo quei discorsi noiosi su programmi quinquennali, investimenti prospettici, maturazione della squadra, piedi per terra, bla bla bla. Se vinciamo, sarà entusiasmo, il solo stato d’animo concepito dal tifoso. Mentre massaggio le mie guance con un buon pennello da barba ben insaponato, immagino Cavani che prende la palla sulla tre quarti, la scambia con Hamsik e dal vertice sinistro dell’area beffa il portiere con un tiro nell’angolo opposto. E, dopo dieci minuti, sgroppata di Maggio a destra – se preferite di Dossena a sinistra – cross al centro, tiro al volo di Cavani che “gonfia la rete” – se preferite, di Lavezzi, a patto che non spari il pallone tre metri sopra la traversa. Due a zero, Inter annichilita, pratica archiviata, presa l’autostrada per lo scudetto! E no, eh! E mica sono un ragazzino: alla mia età certe gioie non si sognano, si gustano dopo!
Qui bisogna riempire la giornata, le 20.45 sono lontane.
Potrei lavorare un po’ per l’impegno di domani. Ma non è necessario: quello che dovevo è stato fatto e da buon campano non sono incline agli eccessi di zelo nei giorni festivi. Meglio uscire da questi 40 metri quadri del “progetto C.A.S.E.”, nei quali, in verità, non si sta male neanche in quattro, ma solo se si è ben disposti ad adattarsi, come sappiamo fare noi meridionali, e se non si pensa ai propri spazi di prima.
Ma dove vado? Come sempre, non ho voglia di andare in un centro commerciale, i nuovi luoghi di aggregazione sociale in quella che una volta era solo la periferia industriale e mercantile della città. Mi manca una bella passeggiata in centro, come quelle che facevo spesso la domenica mattina. Compravo il giornale, prendevo un buon caffè, che lontano dalla Campania è difficile da trovare ma non impossibile. Se il tempo permetteva, mi sedevo in una bella piazzetta rinascimentale e sfogliavo la carta stampata. Di tanto in tanto alzavo la testa per un’occhiata al passeggio della borghesia provinciale italiana, con i suoi riti dei giorni di festa, un po’ ipocriti eppure necessari per rinsaldare con le buone maniere i rapporti sociali sofferenti per le tensioni dei giorni lavorativi. E qualche volta vi partecipavo volentieri.
Tempi andati, era prima del 6 aprile 2009.
Le pietre colpite dalla forza brutale della natura conservano il sedimento delle storie umane di cui erano state testimonianza per secoli, nonostante non ne siano più alimentate ormai da 21 mesi e in certi casi siano indelebilmente segnate dal lutto da loro stesse provocato.
Pietre e storie … che fine faranno?
Si ricostruirà il centro antico con le moderne tecniche della cosiddetta “clonazione”, in modo che esternamente tutto ritorni come prima ma strutturalmente sia solido, sicuro? Nei convegni, che puntualmente si chiudono con “è solo un problema di volontà politica”, si dice che è possibile e non eccessivamente costoso.
Inutile pensarci, tanto è ancora presto per l’avvio della ricostruzione. Dalla cucina/tinello/camera da divano-letto arriva l’odore del ragù che lentamente puppeteia sul fornello. Ma non è comunque il caso di restare a L’Aquila oggi. Meglio svagarsi, allontanandosi dai segni del terremoto, che non te lo fanno dimenticare mai. Propongo alla famiglia di andare a Roma, tanto è a poco più di un’ora di macchina da qui. Si parcheggia sotto Villa Borghese, si sbuca a Piazza di Spagna e si passeggia fino a Piazza Navona; così ci si distrae e si rallegra la mente con la bellezza monumentale della “città eterna”. E stasera, alla fine della partita, prenderò l’autostrada per lo scudetto, attraversando la barriera del telepass con due bip a zero.
di Giovanni Mastronardi

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