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Hamsik è un fuoriclasse pieno di colpi eccezionali

Hamsik è un fuoriclasse. L’ha detto Nedved. Che, fuoriclasse, certo non se lo diceva da solo e a volte – quale miglior conferma? – manco glielo dicevano gli altri. Marek Hamsik è il suo erede, disse una volta. Marek Hamsik è più forte di lui, ribadisce. Ed è vero, forse. Pavel Nedved a 23 anni stava ancora con calzoncini e capelli corti a svegliare l’alba di corsa nei campi di metà Cecoslovacchia. Marek Hamsik invece a 23 l’han svegliato da un pezzo. Lo conosce tutta Europa, di più. Tutta Italia. E quindi forse è più forte dice Pavel e se lo dice lui. Che poi, bel favore gli ha fatto. Più forte di Nedved è più impegnativo dell’essere la solita solfa umana: una giovane promessa a venti del solito stronzo di trenta.
No, è già più strambo della regola essere più forte di Nedved e sei ancora all’inizio. Non devi mantenere le promesse, devi già mantenere le squadre. Guardiamo quest’anno. Napoli-Bari, goal del pari: il nostro arriva da destra in area, felpato e silenzioso in un’area affollata. Si smarca per il tiro di destro, riceve un cross sul sinistro che lo sbilancia. Lo sbilancerebbe se fosse nella norma. Allunga il sinistro tipo Fantastici 4, stop, finta il tiro mentre il corpo si ricongiunge alla gamba. Dopodiché passa la palla a Cavani che insacca ma non è un passaggio. Cioè non è un passaggio così facile come vorremmo credere. La palla la mette sull’esterno del piede. Se la toccasse irrigidendo la gamba e usandola come stecca da biliardo la palla la prenderebbero i baresi. Hamsik lo sa. Deve dare forza e la deve dare dritta. E deve usare l’esterno perché non ha il tempo di girarsi. Si inventa allora una specie di scavetto: rasoterra. Più che un assist, un ossimoro a 300 all’ora e in meno di secondi tre. Roba più che contro il tempo, proprio contro natura.
Fa di peggio a Genova con la Samp. Si rende invisibile piazzandosi proprio al centro dell’area. Bastano i soliti tre secondi di buio della ragione, quando serve propria quando serve altrui, ed è pari. Arriva Cesena: va di rigore, segna. Cioè sbaglia il tiro perché i rigori non si tirano mai a mezza altezza. Cioè non sbaglia il tiro perché dove la mette è vietato alla corporatura umana poterci arrivare. E ha usato il destro, si. Finalmente. S’era stancato il poverino di guardare il sinistro. Siamo a due goal e un assist.
Arriva la Roma. E dev’essere vera quella storia di Nedved. Perché non ha bisogno di un motivo. Perché questi colori lui li batte a pelle. Tagli, corse, sventagliate. Il miglior repertorio tanto che quando si materializza tutto solo in area nel solito numero, il solito momentary lapse of reason, Lobont decide di farla finita arrendendosi per sfregio al più tozzo dei piattoni prima che Pavel Hamsik lo umili con qualcosa di meglio. Catania, poi il Milan viene. Sotto la pioggia. Hamsik fa un uno-due sinistro-destro sinistra-destra per due rigori in movimento piedone-testa di Yebdà-Lavezzi. Inutilmente. Ancora piove per una settimana intera, sino alla domenica di Brescia. Questa però è la volta utile. Zuniga, Lavezzi, traversone per Hamsik. Stoppa. Gonfia un canotto per la palla che così può camminare sulle pozze. Non sparisce lui. Fa sparire il Pocho dal traversone di prima. Rete. Assist-rete.
Poi più niente. Un balletto col Parma. Un cross in miniatura di corsa per il Lavezzi di corsa di Cagliari. A Nedved non facevano a tempo neanche a capirlo. A Marek Hamsik riesce di fare a tempo con le corse del Pocho. Poi Lazio, poi niente. Proprio con quella Lazio alla quale la stagione prima ha segnato il suo più bel goal italiano. Quaglia che s’impadronisce della sfera sgomitando l’aria in modo da non farsi marcare e poter calibrare il passaggio sul taglio. Hamsik che riappare davanti a Muslera ed il guardalinee come il fantasma dentro la macchina. La macchina calcio. A quel punto l’appoggi con il sinistro. Rimbalza due volte la palla. Hai perso l’attimo. Se tiri col destro otto su dieci la prende il portiere. Una volta sei Zico. L’ultima volta su dieci ti togli la scarpa perché tanto nessuno ti vede e con la sensibilità del piede nudo manipoli il cuoio di controbalzo. Quella volta sei Hamsik.
Quest’anno ad oggi alle 18 e 30 fan due assist, tre goal. Nel mezzo, niente. Durante, lo splendido goal alla Steaua. Di suo una mezza follia perché tiri così non li provi in contesti del genere. Tiri della disperazione li chiamano apposta per riderci su. Perché sono le cose più comiche anche delle barzellette. Ma solo se sono disgrazie e non reti altrui. Quando soffri, al massimo prendi un sorriso. Non il set. Un sinistro erculeo testa sotto per non guardare gli orrori di una serata allucinata da papere, risse e colpi in testa. Di suo l’unica follia tra le tante di quella Bucarest, l’unica seria, l’unica degna d’elogio. Nel mezzo, niente. Ma è giusto. Nel mezzo c’è niente. Gli eleganti al niente han dato due gambe di donna. Lunghe e lontane. Le pause. Lavezzi più assist, Cavani più goal. Hamsik più forte di Nedved (del giovane Nedved). Più forte di un fuoriclasse. Hamsik più pause. Ma così sono quelli.
Ambidestro, lento e veloce, morbido e duro, quello come Nedved junior è l’eterno marito sposato al pallone. Senza iattanza dei veri mariti fedeli. Fedele, tentato, per fortuna voluto da tanti. Se non volesse anche altro, sarebbe morto. E tu non saresti una scelta.
Sopporti. Sopporta. Lo vendi, lo tieni. E’ grande. Irritante. Ci passi una vita e non c’è mai. Completo. Completa. E’un film. D’altronde se ci son pause c’è pure una storia. Se ci son pause c’è pure il cinema. E’ il film che vedi sempre mentre fai altri progetti, mentre meriti altro: due o tre giorni più belli della tua vita e nel mezzo le pause.
Nel mezzo, dal momento che è già detto il sì, c’è pure il tempo di fare pipì.
di Vincenzo Ricchiuti

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