Debutta ufficialmente il sistema collettivo dei diritti audiovisivi del calcio. Da quest’anno (ma Infront, advisor della Lega calcio, ci lavora da oltre una stagione) i club non potranno più vendere autonomamente i diritti tv delle gare e dovranno adottare un sistema di ripartizione, che parte dalla contrattazione collettiva (concentrata nelle mani della Lega) per arrivare a un sistema di redistribuzione similare alla Premier league, sotto il profilo concettuale, ma molto più complesso nella sua applicazione. Strategica per molte società sarà la corretta definizione dei «bacini di utenza», uno dei parametri-chiave inseriti nel decreto Melandri.
Complessivamente in Italia, secondo quanto rivelato dall’ultima indagine Format research-istituto Sporteconomy (relativa al campionato 2009/2010), vi sono 37,63 milioni di appassionati di calcio e ben 19,34 milioni di questi hanno dichiarato di seguire con maggiore attenzione squadre di A e/o B (la ricerca prevede fino a un massimo di tre preferenze calcistiche). La leadership è della Juventus con 13,3 milioni di supporter (il 28,2% del campione intervistato), subito dietro il Milan con 11,4 milioni (24,2%) e l’Inter campione d’Italia con 10,9 milioni di fan (23,1%). Al quarto posto troviamo il Napoli (4 mln di tifosi e 8,6% del campione), mentre la A.s. Roma è quinta con 3 milioni e il 6,5% del mercato nazionale. La Fiorentina dei Della Valle è al sesto con 2,3 milioni (4,8%). Solo altri tre club (Cagliari, Bologna e Palermo) possono contare su una fan-base di almeno 1 milione di tifosi, con una quota di mercato compresa tra il 2,5 e il 2,2%. L’indagine Format research-Sporteconomy ha esaminato un campione di 2.500 persone (tutte maggiorenni) che, negli ultimi sei mesi, ha assistito e/o seguito almeno una partita di calcio (in tv, su Internet, allo stadio) o che ha assistito almeno a un programma televisivo di approfondimento.
In tema di ripartizione delle risorse collegate ai diritti audiovisivi, il decreto Melandri (approvato durante il governo Prodi), operativo dal campionato in corso, contribuirà a restituire un certo equilibrio economico tra i partecipanti al campionato di Serie A, e, conseguentemente, consentirà, almeno sulla carta, una maggiore competitività. Da più parti si era sollevato il problema che la centralizzazione dei diritti audiovisivi, che per il campionato in corso valgono oltre 900 milioni di euro, avrebbe avuto successo soltanto se si fosse messo mano anche alla «cassaforte» e così è avvenuto. Analizzando nel dettaglio l’operazione, dedotta una quota del 10% a titolo di mutualità generale di sistema e una somma predeterminata a favore delle retrocesse a titolo di solidarietà, la torta dei diritti audiovisi è stata così costruita. È stato previsto un 40% «in parti uguali», un 30% in base al «bacino di utenza», di cui un 25% per la cosiddetta «quota tifosi» attribuita in proporzione al numero dei fan quale risultante della media ponderante di tre rilevazioni di mercato, di triennio in triennio, da primarie società di ricerche di mercato (con tetto massimo del 25% di detta quota), e un 5% per la cosiddetta «quota popolazione» attribuita in proporzione al numero di cittadini residenti nei comuni di riferimento della società sportiva sulla base dell’ultima rilevazione Istat (nel caso di due società sportive in uno stesso comune, si farà applicazione per intero del numero dei cittadini residenti). C’è poi un 30% in base ai «risultati sportivi», di cui un 5% per i risultati della stagione in corso (con un valore di 20 punti per la vincente a decrescere fino a 1), un 15% in base alla classifica aggregata degli ultimi cinque anni (per la prima volta, dalla stagione sportiva 2005/2006 a quella 2009/2010). Attribuendo per ciascuna stagione sportiva un punteggio di 20 per la vincente a decrescere fino a 1 e sommando tali punteggi per tutto il quinquennio in esame e un 10% per i risultati storici dalla stagione sportiva 1946/1947 (data di nascita della Lega calcio) alla sesta stagione antecedente a quella in corso e, quindi, per la prima applicazione, la stagione sportiva 2004/2005.
Un sistema all’inglese, con due paletti imposti: sotto la soglia del 40% in parti uguali non si può andare e la quota del bacino di utenza non può superare quello del risultato sportivo. Unico elemento stonato è la ripartizione di quel 10% di mutualità generale: 6% alla serie B e 4% al sistema (Lega Pro, Lega Dilettanti, infrastrutture) attraverso una Fondazione, che, però, non è mai nata. C’è, però, una proposta in Parlamento per ridisegnare quel 10% e il relatore del ddl Lolli-Butti alla Camera (il «finiano» Claudio Barbaro) spinge perché un 5% di questa torta venga investita sull’impiantistica sportiva scolastica. «Un modo per far sì che il sistema calcio contribuisca concretamente allo sviluppo dei giovani, appassionati di calcio e non» ha dichiarato a ItaliaOggi, il deputato Barbaro. «In questi ultimi anni il calcio ha sempre chiesto, ricevendo sempre risposte concrete (come nel caso del decreto spalma-debiti, nda). Il pianeta calcio professionistico deve aiutare il mondo dello sport in generale, a partire da chi fa pratica sportiva all’interno degli impianti scolastici presenti sull’intero territorio».
La Lega Nord, invece, vuole proteggere i vivai del proprio territorio di riferimento, l’ex Alleanza Nazionale gioca a favore dei dilettanti esclusi dalla ripartizione, l’opposizione è alla finestra, desiderosa di parlare di stadi e non di soldi. La ripartizione non piace alle grandi e si sa. Tant’è che già adesso si litiga sulla società di indagine demoscopica che deve fare i rilevamenti e tra due anni (e cioè alla fine della prima commercializzazione dei diritti, biennale con scadenza al 30 giugno 2012) le società sportive di serie «A» dovranno o confermare la ripartizione così come uscita dalla delibera del 30 ottobre 2007, e cristallizzata, per i primi due anni, dal decreto Melandri oppure rimodularla tenuto conto delle nuove forze in campo.